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Innovazione e Sostenibilità

Il futuro della casa nell’era del post Covid-19

Roberto Panzarani
Di Roberto Panzarani
Presidente dello Studio Panzarani & Associates, docente di Innovation Management e di Governo dell’innovazione tecnologia presso la facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Ha sempre operato nel campo della formazione. Attualmente,  come esperto di Business Innovation, si occupa dello sviluppo di programmi di innovazione manageriale per il top management delle principali organizzazioni italiane e internazionali. Il suo nuovo libro “Viaggio nell’innovazione Dentro gli ecosistemi del cambiamento globale” è edito Guerini e per Centodieci racconta come facilitare quei cambiamenti interni alle aziende in grado di creare nuove occasioni di business.
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Pubblicato il 13.07.2020 alle 14:40

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La crisi che abbiamo vissuto e che stiamo continuando a vivere porta, tra le altre cose, a una riflessione su quale possa essere il nuovo concetto dell’abitare sia da un punto di vista emotivo che architettonico. In questi mesi di lockdown si sono scoperte nuove dimensioni di vivere la città, gli spazi urbani e soprattutto le case, che si sono trasformati anche in ambienti di lavoro. Occorre dunque pensare a una riorganizzazione funzionale del nostro modo di vivere.

Per la prima volta nella storia ci è stato chiesto di rimanere a casa, ma come sono le nostre case? A questo siamo stati costretti a pensare in questo periodo, a come sono le case che abitiamo: con balconi, senza balconi, con giardini, con terrazzi, in centro, vista mare, in collina, in periferia. È vero che la richiesta di restare a casa è stata dettata dal bisogno urgente di proteggersi, ma la rappresentazione emotiva che diamo alla propria abitazione ha diverse sfaccettature, tra cui quella del condividere quelle quattro mura con i propri familiari sia in ambito privato sia in quello professionale. «Penso. E pensare mi fa soffrire. Ho ben chiaro di essere un privilegiato: ho una bella casa in una piazza di Parigi. Mi fa soffrire pensare a quelli che una casa non ce l’hanno. E soffro al pensiero che tutto quello che ho costruito è vuoto. In tutta la mia vita ho costruito edifici pubblici, dove la gente possa incontrarsi e condividere valori. Valori alti, quando si parla di biblioteche, auditorium, musei. Sono quasi tutti vuoti. Il Whitney è stato il primo museo di New York a chiudere» risponde l’architetto mondiale Renzo Piano, in un’intervista ad Aldo Cazzullo sul Corriera della sera. C’è stato un tempo in cui le scelte abitative in affitto o comprate rispondevano alle affermazioni “tanto a casa non ci sto mai” oppure “a malapena ci dormo”. A Roma, a due passi dalla Basilica di San Pietro e da Castel Sant’Angelo esiste la casa più piccola d’Italia di soli 7 metri quadri, dove abitare, cucinare e dormire. Appartamenti compatti ma che ora si dimostrano piccoli e insoddisfacenti spazi vitali.

Tutto è cambiato e, in questo senso, davvero non sarà più come prima. “Si è come formato un unico grande foglio bianco, nel quale mettere insieme tutti i miei mestieri di architetto, designer, scrittore, pittore, disegnatore, scultore. E tutto questo si combina meravigliosamente insieme, in un unico quadro che non mi sarei mai aspettato di realizzare” dice l’architetto Michele De Lucchi dal suo ufficio domestico. Come afferma Fabrizio Tucci, professore ordinario di Progettazione Ambientale alla Sapienza di Roma e coordinatore del gruppo internazionale di esperti del Green city network, “gli spazi fisici sono espressione della gente. Se le abitudini e le esigenze delle persone mutano, cambiano anche gli spazi. Inevitabilmente. E viceversa, se noi progettisti indirizziamo opportunamente tale cambiamento possiamo incidere profondamente su un miglioramento della vita delle persone e dell’ambiente”. Le case sono diventate  lavoro, studio, e-commerce, palestra. “Camere da letto che possano trasformarsi in certi orari in uffici o luoghi d’istruzione a distanza, soggiorni in palestre, cucine in punti d’incontro virtuale e luoghi di approvvigionamento a distanza” continua sempre Tucci “quello che serve è una nuova architettura modulare e modulabile, per ingrandire o ridurre uno spazio con tecnologie leggere, a secco, facilmente montabili e smontabili”. Quale futuro aspettarci allora? Un’abitazione aperta e modulabile che consenta di organizzare in poco tempo lo spazio ad usi completamente diversi o addirittura in contemporanea. Non solo, il consiglio è anche quello di introdurre, ad esempio nei condimini, nuovi spazi comuni adibiti allo smart working o all’e-learning. All’orizzonte inizia ad intravedersi una nuova trasformazione degli spazi vitali e sta solo a noi trasformare i momenti di crisi in opportunità.

 

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