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Arte e Cultura

Arte contemporanea e sostenibilità: l’upcycling

Redazione Centodieci
Di Redazione Centodieci
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Pubblicato il 30.06.2021 alle 9:08

L’arte contemporanea è sostenibile? Passare dipinti, sculture e installazioni al setaccio della nuova (e condivisibile) sensibilità ambientale non è facile e richiede uno sforzo che nessun curatore e critico d’arte hanno accolto, almeno per ora: troppi sono gli stili e le tecniche attorno a cui ogni giorno si ridefinisce l’idea stessa di arte, per tracciarne la sostenibilità in generale. Ma è vero che alcune tendenze dell’arte sembrano particolarmente attente da questo punto di vista. È il caso dell’upcycling: noto anche come riuso creativo, è il processo di trasformazione di sottoprodotti, materiali di scarto, prodotti inutili o indesiderati in nuovi materiali o prodotti percepiti come di maggiore qualità, proprio per il loro nuovo valore artistico.

L’upcycling nell’arte contemporanea

L’upcycling nell’arte guadagna consensi per diversi motivi. Il più importante è il prolungamento della vita di materiali che sono difficili, costosi o impossibili da riciclare. Ma creare opere d’arte, partendo da un rifiuto rappresenta anche una duplice sfida. Creativa, viste le ridotte possibilità di trasformazione di un oggetto che già esisteva, e politica: quadri, sculture e installazioni, realizzati con materiali di scarto, dannosi per l’ambiente, come la plastica, aiutano a evidenziare il problema e generare conversazioni che possono indurre un cambiamento. L’artista in questo caso assume il potere di ispirare l’azione.

Arte e upcycling: il fenomeno Schnabel

L’arte del riuso non è una novità. Anche se ha ispirato mostre a tema soprattutto negli ultimi anni, è un fenomeno trasversale che attraversa vari stili e momenti dell’arte contemporanea. Se e quando ci sarà una ricognizione ufficiale, sicuramente conto del grande Julian Schnabel: i suoi Plate Paintings, prodotti partendo dai cocci di piatti di ceramica negli anni 80, dunque in tempi non sospetti, sono un caposaldo dell’arte neoespressionista. E il riuso è ricorrente in tutta la sua opera, come rivela la mostra The Patch of Blue the Prisoner Calls the Sky, che si è tenuta l’anno scorso a New York: in scena 13 dipinti resi su grandi coperture di cotone riciclato, che l’artista stesso aveva acquistato da alcuni banchi di frutta in Messico. Proprio il loro recupero ha dato a Schnabel ulteriore possibilità creative. “È sempre una specie di esperimento”, ha ammesso. “Cosa posso usare? Come posso trovare o fare un segno che mi dia la possibilità di vedere qualcos’altro? Come si posizionerà la vernice sul materiale?”.

Upcycling: le opere di Romuald Hazoumé e Jane Perkins

Meno noti di Schnabel, ma non per questo meno interessanti, sono due artisti come Romuald Hazoumé e Jane Perkins. Hazoumé originario del Benin è famoso per le sue taniche di plastica (spesso usate per trasportare benzina illegalmente dalla Nigeria) rimodellate in maschere africane, alcune dipinte con spray e altre addobbate con piume, tubi, spazzole e persino una scopa. La plastica dal difficile riciclo si trasforma così in volti espressivi con forme, trame e colori che deliziano l’occhio con piacevoli disegni e motivi ritmici. Mentre le allusioni alle maschere Yoruba, utilizzate per rituali e cerimonie religiose come simboli di identità, conferiscono persino nobiltà a oggetti usati per scopi illegali, il cui riuso ha permesso ad Hazoumé di farsi apprezzare come artista originale e innovativo.

L’opera di Jane Perkins volendo è sovrapponibile a quella di Hazoumé, visto che anche lei usa la plastica per ricostruire volti. In questo caso però i rifiuti servono a dare consistenza 3D a ritratti già famosi. Ispirata dall’arte impressionista, Perkins utilizza vecchi giocattoli, conchiglie, bottoni, perline per ricomporre nel dettaglio alcuni capolavori dell’arte come la Marylyn di Warhol o la Ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer. Perkins raccoglie gli oggetti da negozi dell’usato o centri di riciclaggio e inizia ìcercando di abbinare i colori, prima di trovare le forme più appropriate che si adattino a ogni pennellata o pixel. Si definisce una ‘re-maker’ e le sue astute manipolazioni di ritratti famosi sfidano gli spettatori a confrontarsi con l’impatto dei grandi artisti sul nostro immaginario ma anche con l’impatto della plastica sul nostro tempo.

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