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Arte e Cultura

Impariamo da Morandi e dal suo amore per gli oggetti di tutti i giorni

Giuseppe Ravera
Di Giuseppe Ravera
Pubblicitario. Dopo aver lavorato nel marketing del largo consumo di imprese multinazionali, ha realizzato progetti di editoria aziendale. Copywriter free-lance di agenzie di pubblicità, è particolarmente interessato ai processi di comunicazione finalizzati all’integrazione tra le attività on e off-line. Ha scritto di consumi e comunicazione per “Il Mulino” e per “Fausto Lupetti Editore”. Per Centodieci racconta le storie dei grandi artefici della bellezza italiana.
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Pubblicato il 20.01.2021 alle 10:45

Siamo tutti d’accordo, impossibile indorare la pillola. Il lockdown è un modo particolarmente triste di trascorre il tempo. Al tempo stesso è però importante tentare di fare di necessità virtù. Ce lo chiede la stessa economia del tempo, il bene non-rinnovabile per definizione. Ora, senza scomodare l’inarrivabile esempio di Socrate che, dopo aver bevuto la cicuta che l’avrebbe condotto a morte, si esercitava nell’uso del flauto per il puro piacere di imparare un’aria nuova, apprendere il giusto uso del proprio tempo è un’arte dell’esistenza.

Abbiamo bisogno di maestri. Sempre, ma in modo particolare quando siamo in difficoltà.

Ed è indubbio che chiunque di noi lo sia in questo momento. I maestri insegnano con l’esempio e con le opere. Mi accade spesso in questi giorni di costrizione di pensare ad artisti come Giorgio Morandi, un maestro della poesia del quotidiano, uno dei più originali protagonisti della pittura italiana del Novecento. Insieme a un talento unico e straordinario, la singolarità di Morandi è che nel corso della sua ricerca artistica la sua attenzione si è rivolta praticamente sempre  agli stessi soggetti – ciotole, bottiglie, caffettiere, fiori – dipinti quasi sempre nella stessa stanza della sua casa di Bologna, la città nella quale fatte salve le vacanze estive trascorse a Grizzana sull’Appennino ha trascorso tutta la vita. 

Sempre uguale eppure sempre diversa, la pittura di Giorgio Morandi è pittura di meditazione. Una riflessione profonda sull’esistenza compiuta attraverso lo studio degli oggetti e della relazione che corre tra noi e gli oggetti della vita quotidiana. Un lavoro paziente e illuminato che dona anche alle cose più semplici – quelle che non vediamo più, che diamo per ovvie e scontate perché le abbiamo sempre davanti agli occhi – una dimensione nobile e austera. 

Impariamo solo dai maestri e dall’esempio dei maestri: non tanto dalle vicende della loro esistenza, quanto dalla loro arte. L’arte di Giorgio Morandi ci insegna che la cosa più importante e più difficile sia andare a sé stessi. Scoprire con pazienza e umiltà chi si è davvero, cosa sia veramente importante: cosa ci emoziona, ci appassiona e dà senso e significato alla nostra esistenza al di là del fragore delle mode e del bla-bla delle convenzioni. 

Quando tutto sarà finalmente finito e potremo, di nuovo come fosse per la prima volta, riconquistare la libertà del tempo e dello spazio, suggerisco di compiere una piccola gita in un luogo per molti versi straordinario visitando la Fondazione Magnani-Rocca a Mamiano di Traversetolo, Parma. In una splendida villa il cui nucleo originario risale al XVII secolo ha sede la collezione permanente che Luigi Magnani raccolse con passione e competenza. Tra gli altri capolavori (Gentile da Fabriano, Filippo Lippi, Dürer, Tiziano, Rubens, Van Dyck, Goya, Monet, Renoir, Cézanne, De Pisis, Burri) la collezione ospita cinquanta opere di Giorgio Morandi a testimonianza del legame che lo univa al mecenate.

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