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Arte e Cultura

Come distinguere il vero dal falso, spiegato con un film

Redazione Centodieci
Di Redazione Centodieci
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Pubblicato il 14.06.2019 alle 13:46

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La Miglior Offerta è il celebre film di Giuseppe Tornatore, uscito nelle sale nel 2013, che non solo avvicina il pubblico al mondo dell’arte e delle aste, offrendo uno squarcio di realtà in cui parole come “lotti” e “battitori” spiccano in modo armonico, ma attraverso una trama estremamente coinvolgente può annoverarsi tra i thriller drammatici che una volta raggiunto il finale lasciano spazio a profonde riflessioni sui grandi temi della vita come l’amore e l’amicizia, il vero e il falso e la paura.

Figura centrale di questa misteriosa vicenda a sfondo drammatico è Virgil Oldman, interpretato da Geoffrey Rush, un affermato battitore d’aste dal gusto ricercato. Grande esperto d’arte, lo schivo e abitudinario Oldman coltiva una ossessiva predilezione per i ritratti femminili, di cui custodisce gelosamente una meravigliosa e costosissima collezione. Ma la sua vita registra una svolta pressoché totale dopo aver conosciuto Claire Ibbetson. Interpretata da Sylvia Hoeks, affascinante e sfuggente proprietaria di una sfarzosa villa, costretta da anni a vivere tra le mura di casa a causa di una grave forma di agorafobia che le impedisce di stare in ambienti affollati e spazi pubblici.

Durante le aste battute da Mr Oldman si susseguono opere d’arte di rara bellezza come l’antico telescopio a ritrazione, la cui paternità nel film è riconducibile a Galileo Galilei, e il Ritratto di donna con cappello di un certo Gustave Red che Oldman, aggiudicandoselo, appende alla parete del suo caveau segreto.

Durante l’ennesima asta, solo l’estrema preparazione di Mr Oldman, conquistata in tanti anni di studio ed esperienza nel settore, gli permette di sapere che il lotto 93, un altro Ritratto di donna -che lui fa credere ai clienti dell’asta opera della falsaria Veliante (nome fittizio), battuta all’asta per 90 mila sterline- è in realtà un originale di Petrus Christus da 8 milioni. A detta di Mr Oldman la celebre e abile falsaria del XVI secolo copiava i capolavori del suo tempo, ma non potendoli firmare, in quanto donna, li marchiava con un suo personale codice occultato nelle pieghe di un drappeggio o, come nel caso del ritratto in questione, nell’occhio del soggetto. Il colpo di luce sull’iride non era altro che una “V” e cioè Veliante. Niente di più credibile se non fosse che in questo caso si tratta proprio di un’opera autentica e non di un falso. Mr Oldman fa credere che ciò che in realtà lui sa essere originale sia un falso e quindi la copia dell’originale diventa essa stessa un originale attraverso l’inserimento di elementi di autenticità che creano una finzione apparentemente più vera del vero. Ecco quindi la prima cosa che possiamo imparare da quello che va ripetendo Mr Oldman:

In ogni falso si nasconde sempre qualcosa di autentico

Nel simulare l’opera altrui, il falsario non resiste alla fatale tentazione di metterci del suo. Spesso è una minuzia, un dettaglio senza interesse, un tratto insospettabile, in cui l’autore dell’impostura finisce ineluttabilmente per tradire se stesso, rivelando una propria e autentica sensibilità. Se Mr Oldman nel film si concentra con una naturalezza disarmante sui piccoli dettagli riuscendo a stabilire con successo l’autenticità di un quadro e il suo potenziale valore, altrettanto non riesce a fare con l’amata Claire e il suo amico Billy Whistler (Donald Sutherland). Lo sguardo di Mr Oldman, sulla cui invincibilità il protagonista ha basato tutta la sua intera carriera, appare improvvisamente fallace e così la sua pretesa di far propria l’essenza delle cose. Attraverso il metodo della deduzione Oldman arriva a risolvere enigmi irrisolvibili ai più, ma interpretando l’amore come un’opera d’arte, cerca in esso solo l’elemento autentico senza pensare a una totale simulazione, e così dà fede, anche dopo essere stato truffato, all’unica frase dettagli da Claire che secondo lui è vera: «Qualsiasi cosa ci succeda, sappi che io ti amo». Nonostante il lavoro magistrale compiuto dai truffatori, alla fine del film Virgil si reca a Praga in attesa di Claire, nella vana speranza che ci fosse qualcosa di vero nel suo amore simulato.

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Solo una passione incontrollabile può creare un’opera d’arte

«Amare la pittura e saper impugnare un pennello non basta a diventare artisti. Ci vuole un mistero che tu, mio caro Billy, non hai mai posseduto» risponde Oldman quando l’amico gli chiede cosa gli manca per essere considerato un artista. Nelle sue aste Mr Oldman si fa aiutare dall’amico Billy che, d’accordo con lui, fa le sue veci quando si tratta di fare la miglior offerta e aggiudicarsi l’opera desiderata da aggiungere alla collezione di ritratti femminili dell’amico. Billy non accetta il fatto che Virgil non abbia mai visto in lui del talento come pittore. Il mistero a cui allude Mr Oldman è quello che fa di un’opera d’arte un’opera d’arte e fa sì che l’oggetto estetico rappresenti altro rispetto ai suoi confini fisici. In questo caso Billy non ha mai trovato in Virgil il mentore capace di vedere il potenziale nelle sue opere. Se non altro, l’opera più grande di Billy probabilmente è stata quella di architettare una truffa così perfetta contro l’odiato e amato Virgil, tanto da distruggerlo.

Nella vita, molte volte, tutto è sempre sotto ai nostri occhi, siamo noi che dobbiamo riuscire a vederlo

«Abbiamo regole ben precise nel mondo dell’antiquariato, è proibito rivelare l’origine delle cose» risponde Mr Oldman quando Robert gli chiede dove trovasse tutte queste rarità. Durante i sopralluoghi a casa di Mrs Ibbetson, Oldman trova sparpagliati per casa degli strani ingranaggi che, riuniti, sembrano poter far parte di uno stesso marchingegno. Dopo un lungo lavoro di deduzione, insieme all’aiutante Robert, in grado di riparare tutto, trova la firma di Jacques Vaucanson, XVIII secolo, costruttore di automi. Si dice che uno dei suoi più famosi automi riuscisse perfino a parlare. Le persone pagavano per sottoporgli domande, l’androide muoveva la testa, si inchinava e rispondeva.

Il mistero che nessuno ha mai saputo svelare è come mai l’automa di Vaucanson dicesse sempre la verità. Insomma, l’umanoide parlava di sicuro grazie ad un trucco, ma ciò che diceva era autentico. Lo stesso Oldman omette a Claire la grande scoperta e minimizza il valore inestimabile dell’opera. C’è una perfetta analogia tra l’automa del giovane meccanico e la precisione del congegno narrativo del film, nel quale tutti i pezzi sono già al loro posto fin dall’inizio, ma lo spettatore (come appunto l’automa non è in grado di scrutare i suoi ingranaggi) non riesce a (pre)vedere.

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