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Immagine principale di: Un’”esperienza di primo ordine”: Marlene Dumas a Palazzo Grassi
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Arte e Cultura

Un’”esperienza di primo ordine”: Marlene Dumas a Palazzo Grassi

Ramona Ponzini
Di Ramona Ponzini
Fondatrice dell’art project Treti Galaxie, insieme al curatore Matteo Mottin organizza da anni mostre di giovani artisti italiani e internazionali. Esperta di arte contemporanea, e art advisor con specifica competenza per l’arte emergente, collabora con le riviste Artribune, Duels e Flash Art. Laureata in Lingue e Culture dell’Asia e dell’Africa per la Comunicazione Internazionale, è nipponista e traduttrice. È inoltre sound perfomer e musicista sperimentale.
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Pubblicato il 08.06.2022 alle 9:09

Rudolf Stingel, Martial Raysse, Sigmar Polke, Damien Hirst, Albert Oehlen, Luc Tuymans. È davvero ricco il programma di mostre monografiche che dal 2012 a oggi Palazzo Grassi a Venezia dedica ai maggiori artisti contemporanei. Mostre potenti, trascinanti, che sanno restituire la ricerca dei grandi dell’arte in maniera completa e ispirazionale. Non si esce indenni da queste esposizioni. Travolti dai colori di Raysse, sopraffatti dalle creature di Hirst, turbati dalle visioni di Tuymans. Se è vero che l’Arte cambia la vita, le mostre di Palazzo Grassi sono un input perfetto verso il l’arricchimento del nostro essere.

Il 2022 è l’anno di Marlene Dumas con open-end. Curata da Caroline Bourgeois in collaborazione con l’artista, la mostra traccia un percorso che parte dal 1984 ad oggi presentando cento opere, tra dipinti e disegni.

Chi è Marlene Dumas

Marlene Dumas nasce a Cape Town, in Sud Africa, nel 1953. Dal 1972 al 1975 frequenta la Cape Town University dove studia belle arti, per poi completare la sua formazione nei Paesi Bassi.

Dal 1976 vive e lavora ad Amsterdam e nel 1995 rappresenta l’Olanda alla Biennale di Venezia.

Dumas ha prodotto negli anni dipinti, collage, disegni, stampe e installazioni. Oggi lavora principalmente con olio su tela e inchiostro su carta. Le fonti che utilizza per le sue immagini sono le più svariate e includono ritagli di giornali e riviste, cimeli personali, fotogrammi cinematografici e Polaroid. “Sono un’artista che utilizza immagini di seconda mano ed esperienze di primo ordine”, dichiara Dumas.

Ritrarre emozioni

La maggior parte delle sue opere può essere classificata come “ritratti”, ma non ritratti intesi nel senso tradizionale del termine. Più che persone reali, rappresentano emozioni, stati d’animo. Quando Dumas dedica una tela al poeta Oscar Wilde (Oscar Wilde, 2016) non dipinge l’orgoglioso e celebre autore che tutti conosciamo, bensì un uomo afflitto e vulnerabile, trasformato dall’amore per il giovane amante Lord Alfred Douglas, amore che fu l’inizio della sua rovina. Quando Dumas dedica una tela al poeta e giornalista inglese Lord Alfred Douglas (Bosie, 2016), giovane amante di Wilde, lo ritrae con sguardo ambiguo e malizioso. Insieme, le due opere restituiscono la complessità di un legame tossico e travagliato.

La poesia come fonte ispirazionale

Sovente poeti e poesia ispirano il lavoro di Dumas: è il diciannovesimo poema in prosa de Lo spleen di Parigi di Baudelaire che traduce in pittura in Le Joujou du Pauvre ([Il giocattolo del bambino povero] 2020), dove un bimbo di umili origini gioca con un topo vivo. Ed è proprio il poeta francese che ritrae in Charles Baudelaire (2020), con uno sguardo carico di quella malinconia e di quel disgusto che lo coglievano quando osservava le scissioni sociali tra le folle parigine. 

Istanze sociopolitiche

I temi centrali del lavoro di Dumas includono inoltre questioni di genere e razziali. Le istanze sociopolitiche e la cronaca si combinano in un flusso di immagini che toccano la nostra più profonda capacità di leggere il mondo che ci circonda. Se il primo piano del palazzo veneziano è abitato da dipinti più erotici e corporei, al secondo sono il legame tra morte e geopolitica a colpire lo spettatore. Canary Death ([Morte alle Canarie], 2006) trae ispirazione da una fotografia di giornale che raffigura un migrante affogato e portato a riva dalle correnti, trasformando un paradiso turistico in luogo di disperazione. Figure in a Landscape ([Figura in un paesaggio], 2010) è imperniata sulla catastrofe del conflitto israelo-palestinese: una barriera per separare persone e territori di fronte alla quale un bambino si fa ancora più piccolo, al cospetto dell’impenetrabilità dell’assenza di dialogo e delle sue conseguenze umanitarie.

Una concatenazione di colpi estenuanti ed edificanti al tempo stesso. Così potremmo definire questa mostra: l’ennesimo successo che Palazzo Grassi porta a segno e che dà la possibilità allo spettatore di tornare a guardare le acque dal Canal Grande con una consapevolezza arricchita rispetto al mondo che abita. 

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