Al Festival di Cannes si gioca il futuro della Settima Arte
Finalmente liberi dalla pandemia (che ha condizionato le ultime edizioni) gli organizzatori di Cannes 2023 promettono un’edizione sontuosa. Non c’è solo la consueta rivalità con Venezia, ma anche l’ambizione di prendere la temperatura all’intero mondo del cinema, da quello di nicchia ai blockbuster. Da questo evento capiremo il futuro del grande schermo?
Il fascino della croisette
Per quante imitazioni nascano, l’originale vince sempre. Il Festival di Cannes si ripresenta nel 2023 con tutta la sua grandeur, spazzati via gli ultimi residui di paura legati al Covid (e i cluster di infezioni che ancora nel 2022 avevano dimezzato la delegazione dei giornalisti a causa delle sale troppo affollate). Quest’anno si fa sul serio. E Cannes arriva in un momento di grande euforia per l’industria del cinema. Non solo in alcuni grandi paesi (Francia e Germania, per esempio) gli spettatori sono ormai tornati ai livelli pre-pandemia, ma dal temibile mondo dello streaming le notizie sono consolanti: anche i colossi come Netflix o Prime Video si sono resi conto che ignorare le sale cinematografiche e distribuire i prodotti direttamente a casa degli spettatori non è stata una buona idea, perché ha semplicemente anestetizzato un segmento di mercato che da mezzo secolo è sempre stato prioritario (prima della “coda lunga” degli sfruttamenti televisivi, streaming, DVD, ecc.).
Cannes, a differenza di Venezia, ha mantenuto negli anni un atteggiamento prudente, se non ostile, verso i leader dell’intrattenimento domestico, scommettendo ancora sul grande schermo. Del resto, la Francia è la culla del cinema: dai fratelli Lumière a oggi le generazioni di spettatori transalpini si sono trasmesse la passione per i film insieme al latte materno. Tuttavia, ora, dall’affascinante mondo della Costa Azzurra potrebbe arrivare il rilancio definitivo dell’intero settore anche nel resto del mondo.
Evviva il cinema. Ma con quali film?
La selezione di quest’anno risponde a criteri di attenzione al globale, ma anche di esaltazione del prodotto europeo. Sono tanti gli autori continentali pronti a darsi (artisticamente) battaglia per i premi maggiori. Tra di loro troviamo alcuni “venerati maestri” come il tedesco Wim Wenders, che in fondo il nuovo cinema europeo lo ha un po’ fondato nella seconda parte degli anni Sessanta. Un altro gradito ritorno è quello del lunatico finlandese Aki Kaurismaki, che promette nuove incursioni nel suo mondo surreale e congelato; o Ken Loach, mai domo nel denunciare le storture del capitalismo e per fortuna bugiardo quando alcuni anni fa aveva dichiarato il suo addio alle scene. Nutrito anche il plotone francese, ma questo obbedisce all’orgoglio nazionale di cui sopra. Noi in particolare aspettiamo con curiosità l’opera di due registe molto diverse tra loro, unite solo dal nome di battesimo (Catherine), ma sempre capaci di scuotere con provocatorio talento: parliamo di Breillat e Corsini. Insieme a film turchi, africani, cinesi e americani, gli autori in concorso dovranno raccontarci come sta il cinema in questo difficile presente ed aiutarci a leggerlo attraverso la lente delle storie di vita.
L’Italia sugli scudi
E gli italiani? In concorso sono ben tre. Nanni Moretti, col suo Sol dell’avvenire, già uscito da noi e ampiamente commentato; Chimera, di un’autrice emersa negli ultimi anni come Alice Rohrwacher, fresca reduce da una prestigiosa candidatura all’Oscar per il miglior cortometraggio con il bellissimo Le pupille; e il veterano Marco Bellocchio, che ha da poco trionfato come miglior regista ai David di Donatello grazie a Esterno notte, e che alla bella età di 84 anni continua a girare un film all’anno. Dal suo Rapito ci si aspetta molto (forse anche una Palma?), visto che racconta una storia vera che altri registi (persino Steven Spielberg) hanno pensato di portare sullo schermo. Nel 1858 un bambino ebreo bolognese viene strappato alla famiglia all’età di sette anni dai soldati di Pio IX. Edgardo Mortara – questo il suo nome – a quel punto viene educato alla fede cattolica nella Roma pontificia, ma i genitori non si danno per vinti e aprono una battaglia legale e civile per riaverlo, in un contesto di grande tensione inter-religiosa e politica. Come si vede, una vicenda dolorosa e solo apparentemente lontana. Come sempre in Bellocchio, si parla di ieri per raccontare l’oggi. E nessun film, forse, rappresenta meglio la capacità del cinema mostrato a Cannes di essere un linguaggio in grado di fornire chiavi di comprensione del mondo in cui viviamo.