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Arte e Cultura

Filmetto o scherzetto? Halloween al cinema

Roy Menarini
Di Roy Menarini
Roy Menarini è critico cinematografico e docente universitario. Insegna Cinema e Industria Culturale all’Università di Bologna. Collabora con la Cineteca di Bologna e vari festival italiani. Ha scritto numerosi volumi sul cinema contemporaneo e sui generi cinematografici, oltre che monografie su James Cameron, Stanley Kubrick, David Lynch, Nanni Moretti. Dirige la rivista accademica Cinergie e il blog Cinefilia Ritrovata. Scrive su Film Tv e MyMovies.
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Pubblicato il 29.10.2021 alle 9:00

LA NOTTE CHE SPAVENTA

Halloween non è solo una festa molto popolare, ma anche il titolo di una famosa saga il cui ennesimo capitolo giunge puntualmente nelle sale italiane nei dintorni della celebrazione al sapore di zucca. Prima ancora che diventasse importante anche in Italia (fatto tutto sommato recente, in un Paese dominato dal mascheramento del carnevale primaverile), la festa di Halloween ci veniva raccontata principalmente dai film. Solo da lì sapevamo della frase “dolcetto o scherzetto” (trick or treat, in originale), e solo da lì scoprivamo quanto la cultura statunitense sapesse giocare con le sue paure attraverso travestimenti dark e maratone horror per spettatori nottambuli il 31 ottobre. E il film più noto, ambientato durante la fatidica serata, è proprio l’omonimo cult di John Carpenter, divenuto famoso non solo perché capostipite di un’infinita serie di seguiti e imitazioni, ma anche per come ci ha immersi fin dentro lo sguardo dell’assassino (Michael Myers), facendoci vivere in soggettiva il suo respiro e la sua maschera.

IL DIVERTIMENTO SUPERA LA PAURA

Il pubblico, però, già nel 1978 – data di uscita del film – stava cambiando. Non più tanto ingenuo o impaurito, aveva imparato a prendere con ironia le immagini grandguinolesche, e a godersi il piacere del grande regista americano nel giocare con gli stereotipi della società statunitense e nel prendere in giro – sia pure cruentemente – il puritanesimo dei concittadini. Michael, il mostro, diventa a sua volta una specie di parodia di sé stesso, un beniamino delle folle e si trasforma in una delle maschere più scelte dai ragazzini di tutto il mondo, quasi una celebrity del mondo horror. Possiamo dire che la stessa cosa avvenga per tanto immaginario del terrore, da Jason di Venerdì 13 a Freddy Krueger di Nightmare, dal sinistro assassino con la maschera di Munch in Scream ai sempreverdi Dracula, Frankenstein e uomini-lupo, in un caleidoscopio di figure che perdono (saggiamente) il loro aspetto più truculento per entrare nella cultura popolare, per venire depotenziate e infantilizzate, insomma per riguadagnare un accesso nel mondo ben più sereno dei teen ager e persino dei bambini. E il cinema, in questo, è un grande detonatore di influenze e immagini che restano scolpite nell’immaginario collettivo.

L’HORROR (E HALLOWEEN) FANNO BENE ALLA SALUTE

In buona sostanza Halloween è una grande festa che assomiglia solo in parte al Carnevale, raddoppiandone la data e l’abitudine a indossare un costume. Se il Carnevale nasce dalla cultura latina ed europea, e talvolta prende il significato di una trasgressione concessa dal sovrano al popolo, che per un giorno – ma solo per un giorno – può usare il folclore per prendere in giro l’autorità e vestirsi in modo pazzerello, Halloween affronta paure meno sociali e più recondite.

Tutti questi riferimenti macabri, dagli scheletri agli spaventapasseri, dalle zucche ghignanti ai lenzuoli da fantasma (come quello che indossava ET per nascondersi proprio quel giorno, nel grande film di Spielberg) servono a ritrovare un rapporto sereno ed equilibrato con la paura della morte e con l’irrazionale. Se tutti siamo “mostruosi”, nessuno si sentirà più in pericolo. E se regaleremo una caramella, nulla di male potrà succederci perché probabilmente zombi e streghe non sono altro che persone “diverse” e sole che hanno voglia di essere ascoltate e accolte. Tutti siamo in cerca della nostra grande zucca (in italiano “grande cocomero”) come nei Peanuts, e anche se Linus – deluso ogni volta – non la vede mai arrivare, una volta all’anno vale la pena crederci un po’.

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