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Arte e Cultura

Gustare un film. I rapporti tra cinema e cibo

Roy Menarini
Di Roy Menarini
Roy Menarini è critico cinematografico e docente universitario. Insegna Cinema e Industria Culturale all’Università di Bologna. Collabora con la Cineteca di Bologna e vari festival italiani. Ha scritto numerosi volumi sul cinema contemporaneo e sui generi cinematografici, oltre che monografie su James Cameron, Stanley Kubrick, David Lynch, Nanni Moretti. Dirige la rivista accademica Cinergie e il blog Cinefilia Ritrovata. Scrive su Film Tv e MyMovies.
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Pubblicato il 18.08.2021 alle 9:00

A TAVOLA CON I FILM

Prima ancora che il cibo diventasse una piccola ossessione televisiva (dai talent show ai documentari, dai coooking show alla cucina in diretta nei programmi dell’ora di pranzo) il cinema aveva già considerato la rappresentazione degli alimenti come qualcosa di molto attraente e soprattutto come qualcosa di eccezionalmente complesso. Che cosa sarebbe Amarcord di Fellini senza quel desco famigliare di cibi tradizionali romagnoli? Che cosa diventerebbero i primi film di Nanni Moretti senza la Sacher Torte o il vasetto di Nutella gigante? Come potremmo capire Totò senza vedere Miseria e nobiltà e la famosa scena degli spaghetti infilati in tasca? Insomma cinema e cibo si sono sempre specchiati, compresi, sfidati, osservati, fusi in un’unica stimolazione di sensi e di intelligenza. Non è solo il cinema italiano ad aver osato molto sul rapporto film/gastronomia (per ovvi motivi) ma l’intero cinema mondiale.

Alcuni film, anzi, denunciano fin dal titolo il loro approccio materico all’argomento: Mangiare bere uomo donna, Il pranzo di Babette, Kitchen, Delicatessen, Il gusto dell’anguria, Chocolat…. In tutti i casi la cucina (intesa come tecnica e piacere del far da mangiare) è al centro del racconto, mentre la cucina (intesa come spazio dentro l’abitazione) ne è un set fondamentale, sia esso un ristorante o un semplice fornello di casa.

I CINQUE SENSI DEL CINEMA

Ma come? si dirà: il cibo è qualcosa che stimola gusto e olfatto, esattamente le cose che uno schermo (grande o piccolo) non può purtroppo trasmetterci – a meno di usare strane invenzioni come l’odorama, che negli anni Cinquanta permetteva di diffondere in una sala cinematografica gli odori percepiti dai personaggi del film! Ma anche se il cinema non riesce a trasmettere in senso organolettico il gusto per i piatti rappresentati nelle immagini, non di meno può farci venire l’acquolina in bocca e, nei casi migliori, dare quasi la sensazione di assaggiare il piatto. Molti di noi, quando hanno visto Big Night di Stanley Tucci, sono usciti dalla sala quasi con la sensazione di aver davvero gustato il timballo che tanti sforzi era costato ai cuochi protagonisti. Così come nel momento in cui il feroce critico culinario Anton Ego, nel capolavoro Pixar Ratatouille, ritrova i sapori dimenticati grazie al piatto che dà il titolo al film, anche noi quasi annusiamo le materie prime che hanno permesso al topolino di mostrare la sua arte culinaria.

Non parliamo nemmeno, naturalmente, dell’amplissima produzione documentaria dedicata al cibo e ai suoi segreti, in un mondo dove gli chef sono diventati grandi celebrità e la cui costruzione divistica non ha ormai nulla da invidiare al marketing che circonda le star del grande schermo.

CINEMA, CIBO E IDENTITA’

Attraverso il cibo, il cinema ci aiuta anche a conoscere le culture degli altri popoli (a seconda ovviamente di dove ci troviamo). Uno spettatore australiano comprenderà la visione carnale del cibo di un certo milieu sociale italiano e francese vedendo La grande abbuffata di Marco Ferreri e noi conosceremo la formidabile organizzazione del cibo casalingo consegnato agli operai indiani grazie a Lunchbox di Ritseh Batra.

Non tutta la gastronomia è sempre raffigurata in modo positivo. Nel film di Ferrei appena citato, gourmandise, erotismo e morte sono intrecciati con spietato sarcasmo. Nell’angosciante Primo amore di Matteo Garrone si mette in scena un rapporto sentimentale malato che passa attraverso la privazione del cibo (e in generale tutti i disturbi dell’alimentazione trovano nel cinema momenti di sensibilizzazione importanti anche per chi soffre di queste patologie). Dall’altro lato della medaglia, le manie della dieta sono capaci di far sorridere con grande ironia – tutti ricordano Fantozzi alle prese con crudeli carcerieri che lo vogliono far dimagrire oppure Charlot sottoposto alla tremenda tortura della macchina di alimentazione automatica.

Quel che lo spettatore non potrebbe perdonare a un film è di mentire sul cibo: ci accorgiamo subito se il piatto inquadrato è finto, la tazzina di caffè vuota o il vino acqua colorata. Quando invece gli attori mangiano veramente quel che recitano, l’effetto-verità esalta il sapore della pellicola.  E il rapporto tra cinema e cibo, che mai si esaurirà, trova ulteriori conferme,

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