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Arte e Cultura

I podcast generati dalle Intelligenze Artificiali

Vincenzo Marino
Di Vincenzo Marino
Vincenzo Marino è autore e content strategist. Si occupa di cultura digitale, musica e nuovi media. Collabora e a ha collaborato per diverse testate (VICE, Rivista Studio, Esquire), e gestisce una newsletter attraverso la quale indaga i consumi culturali dei giovani (“zio”), da cui è nato il libro “Sei vecchio. I mondi digitali della Generazione Z” (Nottetempo, 2023).
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Pubblicato il 25.07.2023 alle 17:52

Pur tra mille difficoltà, 2023 è stato l’anno della maturità dei podcast. Attirando inevitabilmente anche il settore delle AI.

Il 2023 sarà ricordato come l’anno in cui il podcasting italiano si è avvicinato di più all’affermazione definitiva, malgrado un’offerta forse ancora in maturazione, e i tanti dubbi sull’esistenza di un modello di business sostenibile. E se non da un punto di vista meramente mainstream, almeno in termini di metriche, utenze raggiunte e numeri generali.

Gli ascoltatori di podcast, in Italia, sarebbero ormai circa 15 milioni: due in più di un anno fa, secondo dati presentati dall’Osservatorio Branded Entertainment nel maggio scorso, per esempio. A conti fatti, uno su quattro sul totale dell’intera popolazione.

Il ventaglio delle pubblicazioni, d’altronde, è ampio e variegato: c’è il crime, sempre in testa alle classifiche, con i grandi fatti di cronaca e i cold case italiani e internazionali. Le chiacchiere e le interviste. Lo sport e le trasmissioni radio, col progetto OnePodcast del Gruppo Gedi e La Zanzara di Cruciani e Parenzo a dettare la linea. Persino premi nazionali e tesi universitarie dedicate allo strumento.

Classifiche e dati che ci raccontano di un’abitudine sempre più consolidata, specie se letta con le lenti di un attention span sempre più in contrazione, e la necessità di un’attività in second screen da tenere a portata di mano, a cui il podcast sembra quasi essere naturalmente predisposto — sempre secondo l’osservatorio OBE, il 77% degli ascoltatori italiani contattati per questa raccolta di dati avrebbe ammesso di fare altro mentre li ascolta: faccende domestiche (49%), viaggi (43%), sport (40%). 

Insomma, ascoltare podcast sta lentamente – inesorabilmente? – diventando un’attività familiare, come accendere la radio o fare zapping in TV. Eppure, come racconta al Financial Times parlando di “reality check dopo il boom” iniziale, uno dei principali attori nel settore come Spotify avrebbe rivisto al ribasso gli interventi previsti, a seguito di un 2022 dispendioso e passato sotto puntigliosa analisi: le capacità di monetizzazione sembrano ancora non appagare pienamente autori e produttori, e la domanda di nuovi prodotti — da parte di inserzionisti e brand — appare contratta rispetto a un’offerta sterminata.

“Diciamoci una cosa, sui podcast”, spiegava Kate Knibbs su Wired US lo scorso maggio: “sono obiettivamente troppi”. Sarebbero più di quattro milioni a livello globale, stando al database di Podcast Index, e viaggerebbero a una media di centomila puntate ogni 3 giorni, calcolava la giornalista. Producendo un flusso infinito di chiacchiere e rumori, provocazioni e soliloqui a volte preziosi impagabili, a volte addirittura quasi superflui.

Non a caso, a questo tappetone infinito di parole starebbero cominciando ad aggregarsi anche contenuti audio prodotti e generati in modo forse poco “ortodosso”, ma non per questo – ormai – totalmente inaspettato, quanto meno per la tecnologia adottata e il momento storico in cui viviamo: gli AI podcast, quelli creati grazie a intelligenze artificiali. 

Tra i primi a diventare rilevanti in questo nuovo mondo, negli scorsi mesi è stato certamente “The Joe Rogan AI Experience” – a suo modo figlio dell’originale scritto dal commentatore statunitense Joe Rogan, e prodotto ormai da qualche anno da Spotify stesso. 

Esattamente come nella versione “umana”, il podcast è una lunga chiacchierata fra il conduttore e un ospite: da Andrew Tate a Drake fino ad arrivare a Donald Trump, entrambi i personaggi all’interno degli episodi sono rappresentati da immagini statiche – per il momento. Ma dal punto di vista audio sono riprodotti, in parole e ragionamenti, dall’intelligenza artificiale.

Un esempio: https://www.youtube.com/watch?v=T20CtNuIqg8 

E sebbene il risultato suoni obiettivamente impressionante sia in termini di dinamica del dibattito che nell’emulazione dei vezzi da podcast, tanto da spaventare lo stesso Rogan, in realtà a un orecchio più attento si può – ancora? – percepire come certa irrealtà sottenda sempre all’intera discussione. 

Lo scambio, per esempio, si sofferma a volte su banalità tanto ovvie che non meriterebbero le tante parole spese, lasciandoci intuire che qualcosa, alla fine, forse non quadri. Esattamente come nelle foto generate dalle AI, i cui tratti – se si scruta con perizia – sono clamorosamente verosimili, ma mai perfettamente aderenti alla realtà.

“È inutile ascoltarlo” ha raccontato Hugo parlando di “The Joe Rogan AI Experience”, la sua creazione. Restio alle interviste e deciso a restare nell’anonimato per ragioni professionali, ha spiegato di averlo creato soltanto per dimostrare quale possa essere il presente e il futuro delle AI generative e dei modelli di linguaggio, come si legge nella descrizione del canale. E che “a parte farlo per capire il suo livello tecnologico”, ascoltare le puntate del podcast “non ha molto senso: è tempo perso.”

Lanciato nel febbraio scorso su YouTube, il progetto è riuscito a raccogliere quasi un milione e quattrocentomila visualizzazioni in cinque mesi. E non è il solo: tra esperimenti autocelebrativi e volontà di portare contenuti inediti, i media americani negli ultimi mesi hanno cominciato a citare il caso di “Hacker News Recap”, una rassegna quotidiana sulla tecnologia in grado di scalare le classifiche delle piattaforme di streaming in USA e Europa, e di dare vita a una comunità di affezionati ascoltatori.

Preparandoci a un futuro pieno di contenuti da ascoltare, ricco di conoscenze condivise. O come dice ancora Knibbs, magari e più semplicemente “di noia”.

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