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Arte e Cultura

I festival di cinema

Roy Menarini
Di Roy Menarini
Roy Menarini è critico cinematografico e docente universitario. Insegna Cinema e Industria Culturale all’Università di Bologna. Collabora con la Cineteca di Bologna e vari festival italiani. Ha scritto numerosi volumi sul cinema contemporaneo e sui generi cinematografici, oltre che monografie su James Cameron, Stanley Kubrick, David Lynch, Nanni Moretti. Dirige la rivista accademica Cinergie e il blog Cinefilia Ritrovata. Scrive su Film Tv e MyMovies.
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Pubblicato il 27.05.2021 alle 9:00

Un festival del cinema sta all’andare in sala come un concerto musicale sta all’ascoltare un disco? Forse. In entrambi i casi la condivisione di una passione, il piacere dell’aggregazione, l’esperienza artistica offrono benessere e ci fanno crescere culturalmente.

I puristi talvolta non amano che si parli anche di ciò che circonda la proiezione dei film o le masterclass con gli autori. Ma è sbagliato demonizzare l’aspetto più frivolo e la natura più aggregativa dei festival. Discutere di un film a notte fonda di fronte a una birra, andare a zonzo per una città che non si conosce dove si svolge l’evento, incontrarsi a colazione in hotel con altri appassionati (o inviati, se fate parte della professione), confrontare le proprie impressioni con le recensioni che stanno uscendo sui giornali o su web, chiacchierare in fila nell’attesa di prendere posto davanti al grande schermo…tutte pratiche che i cinefili frequentatori di Venezia, Roma, Udine, Pesaro o Bologna conoscono bene.

Ogni festival del cinema fa storia a sé. Due esempi agli antipodi: Il Cinema Ritrovato, che si tiene ogni estate nel capoluogo emiliano, accontenta principalmente gli innamorati della storia del cinema, visto che propone principalmente vecchi film restaurati. Eppure, invece che anziani avventori col cipiglio degli archeologi, le sale sono piene di giovani e di studenti desiderosi di divorare da mattina a sera pellicole d’antan in grado di insegnare qualcosa al pensiero e alla cultura contemporanea. Così come, al contrario, può stupire incontrare davanti a un film horror del Festival di Torino (nato per celebrare il cinema giovane e le nuove leve della produzione più iconoclasta) pensionati irriducibili cultori della settima arte.

Il festival è ascrivibile alla cosiddetta “vacanza intelligente”? A giudicare da quante persone prendono le ferie e le spendono nelle manifestazioni di cinema invece che andare al mare, si direbbe di sì. Il pubblico dei festival – a parte gli addetti ai lavori – è la spina dorsale della passione per il cinema. E dopo un anno e mezzo di Covid, che ha costretto questi eventi a traslocare in streaming, ci si è accorti che il festival virtuale non è un festival. Semplicemente. Può essere, certo, una splendida rassegna di opere da godere su piattaforma ovunque ci si trovi, da casa propria. Ma non può sostituire quel contorno di esperienze, attività, contatti sociali e benessere collettivo che le rassegne dal vivo offrono, non importa se eno-gastronomiche o emotive (a proposito: ai festival capita anche di innamorarsi, e sareste stupiti dallo scoprire quante coppie durature si sono formate chiacchierando di cinema in fila per entrare).

I festival di cinema italiani sono nati nel 1932, con la Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Da allora la formula di questa straordinaria idea si è modificata in tanti modi ma in fondo è rimasta sempre la stessa: tante persone che si concentrano per qualche giorno in un luogo specifico e vedono tantissimi film da mattina a sera, godendo al contempo del viaggio, del piacere artistico, dei dintorni. Certo, un conto è trovarsi in Costa Azzurra a Cannes e un conto è trovarsi in un multiplex di una cittadina industriale ma, se c’è la passione, tutto il resto si inventa. E il modello è stato imitato più volte, secondo quella corsa alla “festivalizzazione” di cui i sociologi hanno parlato.

E il cinema, con la sua piccola invenzione, non deve risentirsi se oggi ci sono i Festival della Filosofia, della Letteratura, della Scienza, del Giornalismo, e così via. Perché semplicemente hanno offerto uno spunto alla crescita collettiva della cultura di ieri e di oggi.

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