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Arte e Cultura

Il senso di Centodieci per l’attualità: cos'è (davvero) la #tenyearschallenge?

Rosamaria Salatino
Di Rosamaria Salatino
Giornalista. Si è occupata a lungo di relazioni con i media in Banca Mediolanum dove ora ha assunto la responsabilità dei contenuti redazionali della Direzione Innovation, Sustainability and Value Strategy. La sua vocazione per Centodieci è di mettere sotto la lente della consapevolezza, quei momenti della nostra attualità e dei fenomeni sociali di massa che rischiano di essere sottovalutati o fraintesi.
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Pubblicato il 21.01.2019 alle 15:20

Avrete certamente notato la moda che da alcuni giorni impazza sui social network di pubblicare una foto di dieci anni fa accanto a una di oggi. Magari avete anche prontamente partecipato, trovandolo divertente e contribuendo così a rendere il 10 years challenge un fenomeno dal fascino globale al quale pochi si sono sottratti e dal quale molti invece si sono lasciati ammaliare, nomi noti, illustri e di spicco compresi.
Fino a quando Kate O’Neill si è fatta venire un dubbio e lo ha prima twittato e poi pubblicato su Wired USA. In pratica chiedeva se attraverso questa enorme quantità di apparentemente innocui e divertenti “meme” non stessimo raccogliendo e consegnando spontaneamente una mole di dati specifici utili – e le foto personali collocate temporalmente lo sono – ad addestrare un algoritmo a riconoscere come cambiano le persone con il progredire dell’età, rendendo così sempre più efficace un’intelligenza artificiale.
Il dubbio è piaciuto ovviamente moltissimo quasi quanto il gioco stesso, e ha avviato un dibattito tuttora in corso.
In un servizio firmato da Jaime D’Alessandro, la testata italiana la Repubblica afferma di avere interpellato al riguardo alcuni addetti ai lavori: alcuni di essi si sono messi a ridere sostenendo che il social network non ha certo bisogno di un “meme” per accedere a certi dati. Altri invece hanno riso un po’ meno pur considerando l’ipotesi improbabile.
Detto questo potrebbe anche essere vero che il 10 years challenge sia nato in modo spontaneo tra gli utenti dei social e che nessuno la stia utilizzando per altri scopi a noi non noti. Ma, ci suggerisce la O’Neill, non sarebbe ingenuo pensarlo? Soprattutto se si considera quanto gli algoritmi di face recognition si stanno diffondendo. Gli stessi algoritmi che oggi ci permettono di accedere ai nostri smartphone di ultima generazione eliminando la lungaggine del pin o dell’impronta digitale, e che domani ci permetteranno di pagare alle casse di qualunque supermercato, sono anche quelli che per esempio possono permettere a regimi autoritari di schedare individui dissidenti o non allineati.
Di parere diverso è Riccardo Luna, a capo dell’agenzia di stampa AGI, che vede dietro questo gioco planetario che ha travolto i social, non la Silicon Valley ma solo il post di uno sconosciuto meteorologo dell’Oklahoma, Damon Lane, il quale l’11 gennaio scorso postò due foto e sotto di esse la considerazione che il tempo è passato ma alla fine la vita che ha vissuto in quei dieci anni è stata migliore di quella che sognava. E che il successo che ha scatenato dipende dal fatto che 10 years challenge è come un film a lieto fine in cui i protagonisti siamo noi.

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