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Arte e Cultura

Smettere di sentirsi sbagliati. Jonathan Bazzi lo racconta nel suo Febbre

Redazione Centodieci
Di Redazione Centodieci
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Pubblicato il 10.07.2020 alle 11:00

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L’esordio letterario di Jonathan Bazzi, edito da Fandango, pubblicato a maggio 2019, è entrato con un colpo di scena nella “sestina” del Premio Strega. L’articolo 7 del regolamento dello Strega per tutelare le piccole-medie case editrici ha fatto sì che il suo libro venisse incluso all’ultimo momento. La sesta classificata, Marta Barone col suo Città sommersa, è stata esclusa in quanto Bompiani. E Bazzi, pubblicato da Fandango, è stato invece ripescato dal settimo posto, ed è finito in finale. Jonathan Bazzi nel 2016 ha parlato della sua sieropositività in un articolo pubblicato su Gay.it, di cui è stato redattore. Febbre racconta una vita vera, la sua – dall’infanzia a Rozzano (“la terra di Fedez e di Mahmood”) alla recente scoperta (3 anni fa, a 31 anni) di aver contratto l’HIV – raccontata come un romanzo. Un’autobiografia scritta col contagocce, dove l’unicità delle parole corrisponde all’unicità dello sguardo. Abituato a essere sbagliato ovunque – troppo milanese per Rozzano (gay, colto, maestro di yoga) e troppo rozzanese per Milano (cresciuto a Rozzano, figlio di ragazza madre senza un soldo, emotivo, generoso) – il personaggio Jonathan Bazzi ha imparato a rinunciare all’approvazione “degli altri” e ha utilizzato un periodo difficile per scrivere un libro che ha cambiato la sua vita.

Jonathan Bazzi ha 31 anni nel 2016: un giorno, a gennaio, gli viene la febbre e non va più via. Aspetta un mese, due, cerca di capire, fa analisi, si preoccupa, cerca i sintomi su internet e si convince di avere una malattia incurabile, mortale, pensa di essere all’ultimo stadio. La sua paranoia continua fino al giorno in cui non arriva il test dell’HIV e la realtà si rivela: Jonathan è sieropositivo, non sta morendo, quasi è sollevato. Fondamentale, in questa storia di formazione, è la periferia in cui Bazzi è cresciuto, Rozzano, il Bronx del Sud di Milano, la terra di origine dei rapper, il paese dei tossici, degli operai, delle famiglie venute dal Sud per lavori da poveri, dei delinquenti, della gente seguita dagli assistenti sociali, dove le case sono alveari e gli affitti sono bassi, dove si parla un pidgin di milanese, siciliano e napoletano. Dai cui confini nessuno esce mai, nessuno studia, al massimo si fanno figli, si spaccia, si fa qualche furto e nel peggiore dei casi si muore. Figlio di genitori ragazzini che presto si separano, allevato da due coppie di nonni, cerca la sua personale via di salvezza e di riscatto, dalla predestinazione della periferia, dalla balbuzie, da tutte le cose sbagliate che incarna (colto, emotivo, omosessuale, ironico) e che lo rendono diverso.

E ora il sogno diventa realtà: Cross Productions, la casa di produzione della bella serie per teenager Skam, ha acquistato i diritti ha acquisito i diritti audiovisivi di Febbre, che diventerà un film che potremo vedere su Netflix. Che rivincita.

 

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