La danza distopica di Wayne McGregor tra crisi climatica e tecnologia
Su un Pianeta deserto, ormai senza più acqua, la vita è costretta in una camera idroponica dove le piante si sviluppano solo grazie a vapori velenosi di pesticidi e i bambini crescono in una gabbia pericolosa. È la visione distopica, ma nemmeno poi troppo, di Wayne McGregor, vulcanico coreografo inglese oggi tra i più richiesti e quotati che trasporta la crisi ambientale che minaccia la Terra in un futuro prossimo dove il peggio è già accaduto.
Succede in AfteRite, straordinaria rilettura di un classico dell’avanguardia novecentesca, quella Sagra di primavera che Igor Stravinskij compose tra il 1911 e 1913 per i Balletti Russi di Djagilev. Ma se allora il rito sacrificale che è al centro dell’opera era avvolto in un passato tribale, oggi McGregor lo immagina in un futuro apocalittico dove una Madre, alter ego della Terra e dell’Umanità, deve fare una scelta straziante: decidere quale delle sue due figlie sacrificare per dare una possibilità di sopravvivenza alla specie sul deserto a cui è ormai ridotto il Pianeta. Una Madre incarnata dal corpo maturo e sensibile di Alessandra Ferri, che torna al Teatro alla Scala di Milano fino al 7 luglio con un’interpretazione magistrale come sempre, e particolarmente dolorosa: «È un balletto tristemente attuale – ha dichiarato l’étoile, oggi 59enne -, ed è faticoso farlo. Come madre di due figlie mi tocca profondamente, mi sono immaginata di dover fare una scelta così orrenda».
Che la contemporaneità con le sue problematiche più urgenti irrompa nella sfera di cristallo del balletto non è una novità per Wayne McGregor. In Lore, il secondo dei pezzi in scena in prima mondiale alla Scala per cui l’ha creato, la partitura di Les noces di Stravinskij ispirata a frammenti di rituali nuziali della tradizione slava diventa stimolo per una coreografia che riflette sulla tecnologia e su quanto essa ci cambi e ci condizioni. Anche qui, con sguardo distopico, tra flussi di pixel e ingrandimenti di particelle organiche che scorrono sui megaschermi della scenografia.
Ma di questi affondi nell’oggi non c’è da stupirsi: classe 1970, coreografo residente al Royal Ballet di Londra e anche direttore dall’anno scorso della Biennale Danza – che quest’anno si svolgerà a Venezia dal 22 al 31 luglio –, McGregor si interessa agli studi sul movimento e sul physical thinking condotti da un’équipe di neuroscienziati, ha lavorato per il cinema con la motion capture in film come Harry Potter e il calice di fuoco e non è nuovo a incursioni nelle tecnologie più avanzate. Sperimenta di tutto: dalla virtual reality che ha inserito nel programma della Biennale con la superstar della danza immersiva Blanca Li alle esplorazioni dell’Intelligenza Artificiale applicata alla creatività del corpo che ha condotto con degli esperti di Google Arts, fino alla creazione degli avatar digitali degli Abba che ha fatto danzare nel grande concerto all’Olympic Park di Londra dello scorso 27 maggio. Inarrestabile, decisamente “future oriented”, è convinto che la danza debba parlare del presente, ed essere anche politica. E la crisi climatica e ambientale è uno dei nodi più importanti dell’oggi. Sulla scena di AfteRite scorrono le immagini reali di un deserto, «è il deserto di Atacama – spiega – dove le stelle sembrano più vicine e si possono vedere meglio, è un luogo di osservazione astronomica. E dove le madri dei desaparecidos andavano a cercare i resti dei corpi dei loro figli fatti sparire da Pinochet». Qui, il sacrificio della figlia si consuma nella serra con il gas, con una modalità che riporta all’Olocausto, certo, ma anche ai pesticidi, condannati da Rachel Carson già nel 1962 nel libro Primavera silenziosa che è una delle ispirazioni del balletto. Ma vengono in mente anche le armi chimiche che hanno fatto strage di bambini in Siria e oggi, forse, uccidono in Ucraina.