Per avere un’idea di quanto siano importanti le serie televisive oggi, basti pensare all’influenza culturale nei confronti della società. Dopo l’enorme successo di La regina degli scacchi, presente su Netflix e legata alla storia di una giovane quanto imbattibile scacchista, si è avuto un boom internazionale di iscrizioni alle scuole dei maestri di questo meraviglioso gioco, di acquisti di tavoli e scacchiere e di libri sull’argomento.

Per una volta nessuno potrà dire che il piccolo schermo deprime la curiosità delle persone, visto che anche tantissimi giovani sono stati attratti da un mondo – quello degli scacchi – di cui avevano un’idea molto vaga e polverosa.

Ovviamente, il successo della serie ha delle ragioni ben precise. Anzitutto, la qualità. Anche grazie a un brillante romanzo degli anni Settanta di Walter Tevis, la storia è scritta e gestita in modo appassionante. In più, si racconta una figura femminile che combatte e vince in un’arena tradizionalmente maschile, e lo fa con la capacità di prevalere proprio nel campo considerato dai conservatori più “patriarcale”, ovvero la razionalità, la logica e il controllo assoluto della situazione. Doti da leader, insomma, che attecchiscono in una realtà (la nostra) che sta per fortuna attraversando un momento rivoluzionario per i diritti delle donne sul lavoro e per il riconoscimento della parità di genere in tutti i settori dell’umano agire.

Infine, non bisogna sottovalutare che si tratta di una miniserie. Con questa categoria ci si riferisce a un formato narrativo a metà strada tra il film (come questo racconta una storia autoconclusa) e serie TV (come queste possiede una struttura a episodi). Le miniserie sono considerate il territorio più prestigioso del racconto per immagini contemporaneo, nonché il genere più apprezzato dagli spettatori, su cui si concentrano gli sforzi produttivi e grazie a cui si vincono spesso premi importanti come gli Emmy o i Golden Globes.  

Oltre a La regina degli scacchi, negli ultimi tempi possiamo citare Mrs. America, dove Cate Blanchett presta il volto a temibile una anti-femminista storica degli anni Settanta, e per converso esalta le gesta delle donne che imposero gli emendamenti più importanti per la gender equity; Un volto, due destini, dove un eccezionale Mark Ruffalo interpreta due gemelli che affrontano una storia personale più simile a una tragedia sofoclea che a un racconto contemporaneo; Unorthodox, applaudita produzione israeliana che racconta la fuga di una ragazza dal soffocante ambiente ultra-ortodosso in cui vive a New York e che cerca la libertà in Europa; When They See Us, in cui si documenta il vergognoso errore giudiziario che rovinò la vita ad alcuni giovani afroamericani ingiustamente accusati dello stupro e omicidio di una donna bianca.

Potremmo continuare a lungo, proprio perché è dalle miniserie che sta giungendo il miglior contributo al dibattito collettivo e alla conoscenza di fatti storici, o destini personali, o comunità particolari, poco noti. Si tratta di temi in grado di coinvolgere l’opinione pubblica, espressi attraverso una durata (tra le 6 e le 10 ore) perfettamente compatibile con le nostre vite: si tratta in fondo di qualche serata, senza per forza legarsi a vicende che rischiano di durare anni, ma mantenendo l’approfondimento narrativo e psicologico che talvolta un film di sole due ore non permette.

Ci sono sempre buone ragioni per le forme dell’audiovisivo, meglio ancora se si accompagnano a risultati spesso maiuscoli.