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Arte e Cultura

Nanni Moretti e il ritorno al passato

Roy Menarini
Di Roy Menarini
Roy Menarini è critico cinematografico e docente universitario. Insegna Cinema e Industria Culturale all’Università di Bologna. Collabora con la Cineteca di Bologna e vari festival italiani. Ha scritto numerosi volumi sul cinema contemporaneo e sui generi cinematografici, oltre che monografie su James Cameron, Stanley Kubrick, David Lynch, Nanni Moretti. Dirige la rivista accademica Cinergie e il blog Cinefilia Ritrovata. Scrive su Film Tv e MyMovies.
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Pubblicato il 28.04.2023 alle 15:46

Con Il sol dell’avvenire, Nanni Moretti recupera il repertorio che lo rese famoso, abbandonando gli elementi più strutturati delle ultime opere per giungere a un’autobiografia ironica e trasognata, dove tornano tutti i tic e le manie degli esordi, pur soffusi di nostalgia.

Il sol del passato

Dopo l’imperfetto e interlocutorio Tre piani (il primo film della sua carriera adattato da un romanzo), Nanni Moretti aveva due strade davanti a sé: proseguire nella ricerca di un’arte cinematografica inedita, liberandosi dai soggetti originali e dal sé stesso personaggio, oppure tornare alle origini in maniera convinta e radicale. Ha scelto la seconda, e Il sol dell’avvenire, girato a 70 anni e giusto mezzo secolo dopo i primissimi cortometraggi, funge da bilancio e ciliegina sulla torta di un universo narrativo e simbolico ormai conosciutissimo. La mobilitazione dei fan è stata fin da subito potente, e il film si candida ad essere uno dei maggiori successi recenti della filmografia morettiana, in attesa di Cannes, dove il titolo è in concorso e ha ottime chance di vincere qualcosa, visto l’amore che i francesi nutrono per il nostro autore. Ma di che cosa è fatto il cinema del passato che qui ridiventa “avvenire” dal sapore agrodolce? C’è davvero tutto: l’ossessione per le scarpe e la passione per i dolci, la riflessione sul comunismo e le difficoltà con le donne, i piani di realtà e di finzione che si intrecciano, la polemica con il resto del cinema italiano, le canzoni di Battiato e il pop nazionale, l’alter ego che è lui, ma non è lui, la psicanalisi e la depressione, via via fino a un finale decisamente felliniano. 

Tre film in uno

Fellini rimane al centro dell’immaginario morettiano. Il sol dell’avvenire comincia (e prosegue) come Intervista, il film nel quale il maestro riminese si metteva a nudo, tornando a molte sue creature del passato (invecchiate) e facendo una riflessione molto intima sul fare cinema e sul tempo che scorre. Il finale, dove Moretti cita a modo suo anche 8 ½ – forse la più celebre opera autoriflessiva del Novecento – conferma l’intento di fare un bilancio esistenziale e al tempo stesso artistico, di chiedersi in questi cinquant’anni dagli esordi come filmmaker “autarchico” che cosa sia cambiato e come affrontare una vecchiaia che non fa sconti. L’amarezza sembra fare capolino qua e là (specie quando Giovanni, il protagonista abbastanza indistinguibile dal Moretti pubblico, invoca il ricordo della madre, o cambia a modo suo la storia del Novecento per aprire lo spazio a un’utopia di sinistra, area politica di perenne delusione per l’ex leader dei Girotondi). Ma poi l’ironia torna a bussare alla porta (l’esilarante scena di Netflix).

La strategia del film-nel-film ne prevede addirittura tre: quello che noi spettatori stiamo vedendo, quello che Giovanni realizza nel racconto (dedicato ad alcuni militanti comunisti nell’Italia del ’56), e infine quello onirico dell’amore di una giovane coppia commentato esclusivamente da canzoni del repertorio italiano. Il passaggio tra realtà e sogno, tra reale e surreale, è continuo, mostrando quanto Moretti ami ancora oggi – come un tempo – spezzare la linearità, confondere il pubblico e distinguersi dal resto del cinema italiano.

E alla fine, che cosa resterà?

Rimane da capire se prevalga la leggerezza o la nostalgia. In vari momenti del film, Moretti interrompe la scena per mettersi a cantare, a ballare, ad ascoltare una canzone in radio, quasi a liberarsi dal peso del suo ragionamento. Altrove, la negatività del suo Giovanni lo porta a bloccare il set di un collega per dargli lezioni di etica cinematografica, convocando ospiti illustri (Renzo Piano o Corrado Augias) che possano spiegare che cosa significa la rappresentazione sullo schermo, con un greve sfoggio di filosofia. Docce fredde e docce calde si alternano in un ritratto di senilità dove lo stesso Moretti sembra combattuto tra una serenità ritrovata e la voglia di rompere ancora una volta le uova nel paniere.
A giudicare dalle reazioni, si può serenamente confermare che – al di là dell’interpretazione che vogliamo dare alle sue metafore – il cinema di Moretti continua ad accendere il dibattito. Da giorni e per giorni i social discutono del senso e del valore del Sol dell’avvenire: probabilmente si tratta di un pubblico un po’ attempato, mentre i giovani non sembrerebbero contemplati nella audience potenziale, ma non sarebbe la prima volta che scopriamo di esserci sbagliati con Nanni. 

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