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Empowerment

Scopri la storia di Andrew Carnegie, che fece della «cultura del fare» la sua bandiera

Giuseppe Ravera
Di Giuseppe Ravera
Pubblicitario. Dopo aver lavorato nel marketing del largo consumo di imprese multinazionali, ha realizzato progetti di editoria aziendale. Copywriter free-lance di agenzie di pubblicità, è particolarmente interessato ai processi di comunicazione finalizzati all’integrazione tra le attività on e off-line. Ha scritto di consumi e comunicazione per “Il Mulino” e per “Fausto Lupetti Editore”. Per Centodieci racconta le storie dei grandi artefici della bellezza italiana.
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Pubblicato il 06.07.2018 alle 15:04

Molto spesso il passato si rivela una preziosa fonte di ispirazione. Come un bengala nella notte illumina la nostra mente e ci stimola a riflettere su noi stessi in modo nuovo e inatteso. Appiattiti come siamo sul presente, tendiamo a dimenticare che le nostre sfide sono in tutto e per tutto simili a quelle degli uomini che hanno vissuto nel passato. In particolare le persone che hanno fatto dell’innovazione e del coraggio la loro bandiera.
La vicenda umana e imprenditoriale di Andrew Carnegie è paradigmatica. Cittadino britannico, era nato in Scozia nel 1835, emigra con la famiglia alla volta degli Stati Uniti nel 1848 nella speranza di una vita migliore. Per pagare il biglietto della nave i Carnegie sono costretti a chiedere un prestito.
Il primo lavoro di Andrew è in un cotonificio, sei giorni la settimana, dodici ore al giorno, per un dollaro e dodici centesimi la settimana. Intuendone le potenzialità, impara il linguaggio del telegrafo diventando il ragazzo dell’ufficio di Pittsburgh dell’Ohio Telegraph Company. Grazie a una delle prime biblioteche pubbliche, ha la possibilità di scoprire i libri e il mondo della cultura: nasce in lui una grande passione per la lettura e lo studio. Determinato e concentrato nel suo lavoro, brucia le tappe diventando a soli diciotto il responsabile dell’ufficio di Pittsburgh. Particolare assai rilevante: la nuova mansione gli consente di imparare molto riguardo ad una disciplina fondamentale per lo sviluppo degli affari: la gestione e controllo dei costi. Inizia ad investire i suoi risparmi in modo oculato e profittevole; nonostante la sua ricchezza sia in costante aumento, continua a lavorare per la società telegrafica innovando e migliorando il servizio.
Data la sua competenza tecnica e gestionale, nel 1861 allo scoppio della Guerra Civile Americana viene nominato soprintendente delle linee telegrafiche dell’Unione governativa a Est. La sua organizzazione del servizio telegrafico offre un contributo significativo al successo militare delle forze dell’Unione. Una vittoria del Nord che dimostra in modo inequivocabile l’assoluta predominanza dell’industria e dell’organizzazione industriale.
Il 1864 lo vede mettere a segno un altro colpo illuminato: investe quarantamila dollari nella Story Farm di Oil Creek che in un solo anno gli assicura più di un milione di dollari in dividendi. Nel 1865 l’apoteosi: fonda la Carnegie Steel Company. Pittsburgh diventa la capitale americana dell’industria siderurgica e il suo fondatore uno degli uomini più ricchi al mondo. Ma non è ancora finita. All’età di sessantacinque anni vende tutte le sue società al banchiere J.P. Morgan per la cifra astronomica e inaudita di quasi cinquecento milioni di dollari. Da allora in poi Andrew Carnegie dedica la propria vita alla filantropia finanziando biblioteche pubbliche, sale da concerto, musei, università e fondazioni.
Determinazione. Concentrazione. Intuizione. Talento. Cultura del lavoro. Fortuna. Nient’altro? Nel 1908 Carnegie affidò a Napoleon Hill il compito di intervistare uomini e donne di successo. L’intento era trovare il minimo comun denominatore della loro fortuna professionale e della loro ricchezza. Il risultato della lunga indagine è racchiuso in due libri dal titolo emblematico, “La legge del successo” e “Pensa e arricchisci te stesso”, uno dei libri più letti al mondo. Confesso di non aver letto nessuno dei due. Quello che mi affascina in quest’uomo e me lo fa sentire straordinariamente contemporaneo, è la cultura del fare, fare cose, sempre. Un approccio assolutamente evergreen, perfettamente condivisibile da generazioni di nerd e startupper impegnati nello sviluppo del mondo digitale, il “telegrafo” di oggi. Quintessenza dello spirito yankee, per Andrew Carnegie la cultura del fare, del muovere le mani e l’intelligenza, era motivo di vita. Il suo motto preferito pare fosse questo: “Quando la sorte ci dà in mano un limone, cerchiamo di farne una limonata”.

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