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Empowerment

Crescere è importante: facciamolo in modo etico e con una visione a lungo termine

Luca D'Elia
Di Luca D'Elia
Consulente. Laurea in Filosofia presso l’Università Statale di Milano, dal 2004 si occupa di formazione manageriale e comportamentale. Ha finora lavorato per oltre cento importanti aziende nazionali e multinazionali. È keynote speaker in convention e meeting aziendali. Parallelamente all’attività di consulenza, si occupa di docenza accademica, collaborando negli anni con diversi istituti ed università, tra cui IULM, Università Cattolica, Istituto Marangoni, IED, Accademia del Lusso, SUPSI (Lugano).
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Pubblicato il 16.08.2016 alle 11:16

Un uomo d’affari americano si trovava sul molo di un piccolo villaggio del Costa Rica, quando si accosta la barchetta di un pescatore. Dentro c’era un bel carico di tonni dalle pinne gialle. L’americano si complimentò con il pescatore per la qualità delle sue prede e gli chiese quanto ci aveva messo a catturarle. «Un paio d’ore», rispose il pescatore. Allora l’americano gli chiese perché non era rimasto fuori più a lungo, così da pescare altri tonni. «Ne ho più che a sufficienza per sfamare la mia famiglia», replicò il pescatore.

Una piccola storia per riflettere sull’ossessione per la crescita

L’americano, incuriosito, incalzò: «Ma come impieghi il resto del tuo tempo?». «Dormo fino a tardi, pesco un po’, gioco con i miei bambini, faccio la siesta con mia moglie e ogni sera mi reco nel centro del villaggio dove bevo vino e suono la chitarra con i miei amici. Ho una vita piena e intensa!».
L’americano scoppiò a ridere. «Io sono un dirigente di Wall Street e posso aiutarti. Dovresti dedicare più tempo alla pesca, e con i proventi comprarti una barca più grande e aprire un sito web. Un piano finanziario ben strutturato ti fornirebbe le risorse per acquistare tre o quattro nuove barche. Alla fine avresti una flotta di pescherecci. Invece di vendere il pescato a un intermediario, lo venderesti direttamente alla fabbrica e potresti aprire anche un impianto di inscatolamento. A quel punto controlleresti il prodotto, la lavorazione e la distribuzione. Dovresti lasciare questo villaggio di pescatori, e trasferirti a New York, dove potresti esternalizzare alcune attività a dei terzisti per crescere più agevolmente».

«Ma, senõr, quanto tempo ci vorrà per fare tutto questo?»
«Da quindici a venti anni».
«E poi, senõr?»
«Adesso viene il bello. Al momento giusto annuncerai una IPO e venderai le azioni della tua azienda diventando così molto ricco. Guadagnerai milioni di dollari!»
«E poi, senõr?»
«Poi potrai ritirarti e trasferirti in un villaggio di pescatori, dove potrai dormire fino a tardi, pescare un po’, giocare con i tuoi figli, fare la siesta con tua moglie e andare tutte le sere nel centro del villaggio, dove berrai vino e suonerai la chitarra con i tuoi amici».

Lessi questa simpatica storiella anni fa. E ancora oggi mi ritorna in mente. Mi fa pensare all’ossessione per la crescita. Tante aziende, dalle multinazionali alle startup, dimostrano assai spesso di farsi travolgere da tale ossessione. L’economista americano Milton Friedman tempo fa ha affermato: «Non abbiamo un disperato bisogno di crescere. Abbiamo un desiderio disperato di crescere».

Una crescita realistica coniuga il gusto per obiettivi sfidanti con la ricerca dell’equilibrio

L’ossessione della crescita produce obiettivi spesso irraggiungibili, ed è sovente la causa di ciò che può risultare dannoso per molte imprese. I top manager che perseguono la crescita per garantirsi prestigio e aumentare la propria remunerazione, cominciano a preoccuparsi più del prossimo trimestre che di una visione di lungo termine. Giovani ed entusiasti startupper che vedono nella crescita la via maestra per una rapida e opportunistica exit, rinunciano fin da subito alla sfida di credere realmente al proprio sogno imprenditoriale.

Ovviamente, di per sé la crescita non rappresenta qualcosa di negativo, tutt’altro. Se si tratta di un processo progressivo, equilibrato, ragionevole, realistico, etico, è un obiettivo importante e positivo da perseguire. Quando, invece, diventa ossessione, fino a sfociare in un miope parossismo, può diventare rischiosa e addirittura dannosa. La crescita, in tal senso, diventa il fine ultimo, per il raggiungimento del quale si tende a giustificare qualsiasi mezzo. Valori, mission e vision vengono messi in secondo piano per assecondare un assillante desiderio di crescita che, potenzialmente, può rappresentare un serio pericolo per la sopravvivenza stessa di un’azienda.

Una crescita realistica coniuga il gusto per obiettivi sfidanti con la ricerca dell’equilibrio. Il lavoro orientato a una crescita etica acquista un senso che oltrepassa la pura ricerca del profitto, diventando uno strumento a servizio del miglioramento della vita. Il profitto, in tal modo, rappresenterà non un fine, quanto piuttosto la logica conseguenza di un lavoro che produce benefici per l’azienda e per la globalità dei suoi stakeholder. Kant scriveva: «Non usare mai gli altri solo come mezzi ma anche come fini».
Un principio potente, che suona come un severo monito anche per il mondo del business di oggi.

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