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Empowerment

Il vocabolario di X Factor spiegato ai meno “gggiovani”

Marco Pietro Lombardo
Di Marco Pietro Lombardo
Giornalista professionista, una vita al Giornale, un presente (anche) da docente e comunicatore. Laureato in Giurisprudenza, ama lo sport e la tecnologia e studia l’innovazione per capire da che parte sia la strada giusta per il futuro, tentando di leggerla negli occhi dei suoi tre figli. Ha scritto un libro sui Mondiali di calcio e due pamphlet su intelligenza artificiale e smart working ed è sempre alla ricerca dell’articolo perfetto: magari sarà il prossimo!
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Pubblicato il 13.12.2022 alle 9:47

La sedicesima edizione X Factor, uno dei talent show più seguiti e amati nel nostro Paese, è giunta al termine decretando i suoi vincitori nei Santi Francesi. Un palco come tanti in cui i quattro giudici, la conduttrice (quella di hey, regaz) e i concorrenti hanno messo in scena un florilegio di quelle parole e di quelle cose che una volta non si potevano dire, ma che adesso, diciamolo, sono cool. Ma siamo davvero convinti che questo evolversi del linguaggio lecitamente accettato dai più “gggiovani” sia davvero “figo”?

La trasformazione delle parole e quella che non si usa più

Il mondo è diventato tutto una “figata” (hey, regaz), se non fosse che un’espressione tutto sommato anche simpatica entrata nel lessico quotidiano venga contornata da un campionario di oscenità verbali che una volta era tema da osteria, o quantomeno restava tra le quattro mura di casa. E che invece adesso entra ormai di diritto nei luoghi più istituzionali. TV, appunto, compresa.

Non vogliamo star qui a ricordare la preferenza su certi avvenimenti femminili da parte del giudice perennemente con gli occhiali (bella trovata, in fondo), confermato dalla sua dirimpettaia pronta a farci sapere che a lei non succede più. Ma è anche la trasformazione definitiva di espressioni come “non me ne frega nulla”, “mi avete preso per il sedere”, “sei proprio un cretino”, che ormai sono – pare – riservare ai dinosauri televisivi della nostra era, quelli per i quali esiste ancora un termine antico, ma ormai ovviamente in disuso: eleganza.

Trovarla, infatti, diventa l’esercizio più difficile, a cominciare da certe cose che si sentono anche nel luogo più istituzionale di tutto: il Parlamento. Figurarsi dentro uno schermo, in cui lo stile appunto è stato triturato in un multicanalismo per cui per fare audience in una miriade di programmi bisogna spararla sempre più grossa, con il risultato di avere indietro una qualità sempre inferiore.

La qualità in prima serata

A chi potrà ribattere che basta cambiare canale se la cosa non piace, ribatto di provare a farlo: vedrebbe certe cose in prima serata che fanno rimpiangere certi B-Movie degli Anni ’80. Dando ragione a quel gruppo rap americano chi si faceva chiamare “Gli eroi usa e getta dell’ipocrisia” (The Disposable Heroes of Hiphoprisy) nella loro canzone Television, the drug of the nation: “Centocinquanta canali 24 ore al giorno: li puoi girare tutti e non c’è niente che vale la pena vedere”. Era circa 30 anni fa, e guardate dove siamo arrivati.

Questione di finezza…

E dunque: prendete queste parole senza offesa, anche perché siamo arrivati fin qui senza parolacce. Che poi le dicevano pure greci e romani, e appaiono persino nell’Antico Testamento. Quindi: che problema volete che sia per la generazione X Factor e per i suoi giudici? (che poi volendo sono pure simpatici). 

Solo che magari agli stessi segnaliamo alla fine quel politico umbro che, durante un consiglio comunale, si è rivolto così verso un rivale: “Taci tu, che per andare a farti visitare la testa devi rivolgerti a un urologo…”. 

Voleva dire proprio quella cosa lì, ma di sicuro – regaz – è stato più figo.

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