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Empowerment

La storia del meme, un ponte tra natura e cultura. Una nuova visione per capire successi e fallimenti

Massimo Temporelli
Di Massimo Temporelli
Laureatosi in Fisica all’Università di Milano, Massimo Temporelli ottiene nel 2000 una borsa di studio presso l’azienda ST Microelectronics, leader mondiale nel settore dei microchip, con la quale sviluppa i percorsi scientifici dei laboratori del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano. La sua attività gli vale, nel 2003, la nomina a curatore responsabile del Dipartimento Comunicazione. Dal 2010 lavora come libero professionista alla realizzazione di mostre temporanee e permanenti, eventi culturali ed editoria. Innovazione, tecnologia, comunicazione e FabLab sono i temi più presenti nella sua ricerca e nel suo lavoro. Su questi temi dirige la collana [...]
Scopri di più
Pubblicato il 27.05.2015 alle 8:35

Intorno al 2010 ho iniziato a interessarmi di viventi (biologia). Fino a quella data i miei interessi di studio avevano riguardato fondamentalmente solo le macchine (tecnologia).
Biologia e Tecnologia.
Da una parte l’azione della natura e dall’altra quella della cultura.
In quegli anni iniziavo a sentire il bisogno di trovare un link tra questi due mondi. D’altra parte già nelle Wunderkammer, camere delle meraviglie nel Cinquecento, questi due mondi convivevano: gli oggetti frutto della natura (naturalia) e gli oggetti frutto della tecnica (artificialia) venivano mischiati ed esposti insieme, creando quell’avvolgente meraviglia e compiutezza che anche io cercavo.

Osservare le nuove tecnologie con un approccio biologico aiuta a predirne l’evoluzione

Volevo passare alla biologia perché in quegli anni tecnologie come tablet, smartphone e pc aumentavano esponenzialmente in numero e in varietà, interagendo tra loro e diventando ai miei occhi una sorta di “nuovo regno”, al pari di quello animale e vegetale.
Intuivo che guardare la tecnologia con un approccio di tipo biologico mi avrebbe aiutato a predirne l’evoluzione. Oggi non so dire se quella scelta mi abbia portato davvero dove volevo, ma una cosa è sicura, il viaggio che intrapresi cinque anni fa, ancora oggi caratterizza e arricchisce molte delle attività che svolgo in ambito di diffusione della cultura dell’innovazione.

Iniziai da Charles Darwin leggendo alcune interessanti biografie, in particolare L’evoluzionista riluttante, chiesi poi consiglio a qualche amico biologo, cercando qualcosa di più aggiornato sul tema dell’evoluzione e finalmente infilai le mani nell’affascinante ciotola del neodarwinismo, incappando in un libro bellissimo, all’interno del quale, in particolare, trovai un capitolo eccezionale. Il libro è Il gene egoista e il capitolo in questione si intitola “Memi: i nuovi replicatori”.
In questo capitolo, a mio giudizio, viene definito uno degli strumenti intellettuali più importanti degli ultimi decenni: il meme. Tuttavia il meme, dopo quasi 40 anni dalla sua invenzione, è uno strumento ancora poco conosciuto e ancora poco studiato (oggi spesso travisato e considerato un fenomeno virale del web), questo breve articolo ha lo scopo anche di attirare e accendere l’attenzione su questo tema.

Infatti, per il sottoscritto, oggi, il concetto di meme rappresenta uno strumento fondamentale su cui fondare ogni ragionamento e discorso per gettare un possibile ponte tra evoluzione naturale ed evoluzione tecnologica, tra natura e cultura. Il biologo Richard Dawkins, autore del libro, introduce il concetto di meme definendolo come “unità di trasmissione culturale”. Da buon biologo il suo ragionamento parte dai geni, pensati come unità di trasmissione naturale, come replicatori e, con un brillantissimo e azzardato spillover, Dawkins riesce a saltare nel mondo della cultura, regalandoci una visione nuova sulla nostra unicità di homo sapiens: “Che cos’hanno di speciale i geni, dopo tutto? La risposta è che sono dei replicatori. (…) Io credo che un nuovo tipo di replicatore sia emerso di recente proprio su questo pianeta. Lo abbiamo davanti, ancora nella sua infanzia, ancora goffamente alla deriva nel suo brodo primordiale ma già soggetto a mutamenti evolutivi a un ritmo tale da lasciare il vecchio gene indietro senza fiato. Il nuovo brodo è quello della cultura umana. Ora dobbiamo dare un nome al nuovo replicatore, un nome che dia l’idea di un’unità di trasmissione culturale o un’unità di imitazione. “Mimeme” deriva da una radice greca che sarebbe adatta, ma io preferirei un bisillabo dal suono affine a “gene”: spero perciò che i miei amici classicisti mi perdoneranno se abbrevio mimeme in meme”.
Esempi di memi sono melodie, idee, frasi, mode, modi di modellare vasi o costruire archi. Proprio come i geni si propagano nel pool genico saltando di corpo in corpo tramite spermatozoi o cellule uovo, così i memi si propagano nel pool memico saltando di cervello in cervello tramite un processo che, in senso lato, si può chiamare imitazione. Se uno scienziato sente o legge una buona idea, la passa ai suoi colleghi e studenti e la menziona nei suoi articoli e nelle sue conferenze. Se l’idea fa presa, si può dire che si propaga diffondendosi di cervello in cervello.

Il meme è un’unità di trasmissione culturale, informazione cioè riconoscibile dall’intelletto e replicabile da un’altra mente o supporto di memoria

Un concetto, un’idea, un’innovazione oggi può essere un meme: questa nuova entità, esattamente come i geni, entra in relazione con l’ambiente esterno, che in questo caso non è un ambiente naturale ma un ambiente culturale. Esattamente come nell’evoluzione naturale, la diffusione o l’estinzione di questi memi (idee, innovazioni, ecc.), dunque, non dipende tanto dalla loro bontà in senso assoluto, ma da quella relativa all’ambiente in cui andranno a vivere.

Credo che per chiunque si interessi di idee e innovazione, di evoluzione culturale e tecnologica, di mercato e prodotto, questa nuova visione, questo nuovo strumento, possa davvero aiutare a capire meglio come e perché i prodotti si diffondano con successo o falliscano miseramente. Credo che, anche solo per questo, l’idea di meme vada guardata con rispetto e magari riscoperta o scoperta dopo tanti anni dalla sua invenzione.

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