Marco e Salvatore, gli angeli custodi di Simona Atzori
Centodieci è Ispirazione ha uno dei suoi tasselli fondamentali in Simona Atzori e nel suo spettacolo Una stanza viola. Sono cinque i ballerini che lo mettono in scena: oltre a Simona sono presenti Mariacristina Paolini, Beatrice Mazzola e i ballerini de La Scala di Milano Salvatore Perdichizzi e Marco Messina.
Abbiamo chiesto ai due ragazzi di fare una breve intervista con le stesse domande ma senza sapere le risposte di ciascuno. Il quadro che ne viene fuori è tutto da leggere.
Raccontaci qualcosa del tuo passato, chi sei e come hai cominciato a fare danza?
Salvatore: Mi chiamo Salvatore, sono nato il 13 gennaio 1973. Ho cominciato a far danza a 11 anni a Palermo presso la scuola di Marisa Benassai, la stessa dove ha studiato anche Eleonora Abbagnato, etoile di Parigi e direttrice dell’opera di Roma; ho cominciato sotto la spinta di mio nonno, mi vedeva muovere molto in casa e mi ha consigliato di prendere quella strada. Studiavo all’istituto d’arte al mattino, poi andavo a scuola di danza fino alla sera. Ho cominciato a fare i primi concorsi, “Nati per la danza” a 15 anni è stato il mio trampolino di lancio. Sono arrivato terzo e ho conosciuto il presidente Giuseppe Carbone ottenendo una borsa di studio per l’Accademia di Montecarlo, sono rimasto lì per due anni fino a che non sono entrato in Accademia a Milano. Dopo il diploma ho fatto l’audizione per il corpo di ballo: eravamo 13 ballerini maschi, ci hanno presi in due. Sono 24 anni che sono alla Scala ormai.
Marco: Sono Marco Messina, sono nato il 29 Settembre 1981, vivo a Milano da 13 anni. Sono ballerino professionista con un percorso anomalo, ho cominciato molto tardi, avevo 16 anni quando mi sono iscritto a Venaria in una scuola privata di danza diretta da Laura Finicelli. Sono riuscito a entrare poi all’Accademia Teatro Nuovo di Torino, pur senza basi di danza classica, facevo solo funky e hip hop prima di quel momento ma studiavo moltissimo con ore e ore di lezione extra per colmare le basi che mi mancavano. Dopo un anno sono entrato nel corpo di ballo del Teatro Nuovo di Torino, ero sempre impegnato, avevo giornate pienissime, ma dopo 4 anni il direttore della Scala mi ha visto e mi ha chiesto se volevo andare a ballare in uno dei teatri più importanti del mondo. Avevo anche l’opportunità di prendere un’altra strada, ero stato scelto per Notre Dame de Paris, il musical. Ho fatto una scelta di vita, felicemente.
C: Che cosa significa La Scala per te?
S: La Scala per me è un punto di arrivo, se guardo indietro il punto di partenza è stata la scuola di Palermo, poi Montecarlo, poi Milano. Sono soddisfatto.
M: La Scala è stato il mio sogno nel cassetto che ho tenuto nascosto, forse anche a me stesso nel senso che da bambino non era questo il mio sogno. Un cassetto che ho aperto piano piano.
C: Che cosa significa Simona Atzori per te?
S: Simona è un angelo custode, il mio angelo custode, è un essere celestiale. Abbiamo una grande sintonia, anche lei come me crede molto nel mondo spirituale.
M: Simona è l’Amica con la A maiuscola. Una amicizia che è nata piano piano, ci siamo conosciuti, non ci siamo calcolati per tempo, poi abbiamo fatto il primo passo a due. Questa cosa prendeva sempre più forma, oltre alla danza cresceva anche a livello umano, fino a diventare vicini di casa. Abitiamo a 1km di distanza ora.
C: Parlando da ballerino, è tecnicamente diverso ballare con Simona?
S: Sì, perché ha un altro equilibrio. Dal mio punto di vista cambia tutto, Simona usa tutta la parte del torace. È più difficile, lei non si può aiutare con le braccia. Ballare con Simona crea dei vincoli che Simona supera, lei vuole andare sempre oltre. È una in gamba.
M: Non userei il termine diverso, sembra brutto, è solo un altro modo. Con Simona si balla di modo che la si possa aiutare; una ballerina professionista con le braccia ha un altro equilibrio, sono di grande aiuto nelle prese. È molto difficile da gestire anche se, tecnicamente parlando, dipende tutto dall’uomo.
C: Quando ci siamo conosciuti eravate tutti a tavola, stanchi ma felici, a condividere momenti di vita insieme. E’ una cosa comune a tutte le compagnie?
S: Inevitabilmente no. Lavorare alla Scala non è facile, ci sono un po’ di tensioni come è normale che sia in una compagnia con 92 ballerini e ballerine. C’è una invidia costruttiva che non deve trascendere in cattiveria, ma siamo tanti e forse è anche normale che sia così.
M: Non è facile lavorare in un corpo di ballo con 90 o 100 persone, c’è rivalità. Puoi avere buoni colleghi, ma amicizie vere all’interno del corpo di ballo forse no. Nella compagnia con Simona siamo in 5, tutti affiatati, cambia veramente tutto.
C: Un pregio di Simona…
S: Il sorriso. È un’arma formidabile, si difende dagli sguardi compassionevoli, è il suo vero biglietto da visita.
M: Posso dirne due? La solarità e la positività.
C: Un difetto di Simona…
S: È un po’ ingenua, per lei tutte le persone sono buone. Cerchiamo spesso di farle capire che non è proprio così, ma lei continua a credere tantissimo nel prossimo.
M: Ne dico due anche qui per par condicio. È testarda e rompiscatole.
C: Ci racconti un aneddoto legato a Simona?
S: Non è un aneddoto curioso ma qualcosa che ci unisce particolarmente ed è legato a una serata che abbiamo fatto a Bergamo. La zona di città alta ha una piazza molto piccola, dove le macchine praticamente non possono arrivare, quella sera è venuto suo padre a guardarci e, complice il poco spazio per muoversi in zona con la macchina, ha fatto un piccolo incidente (fortunatamente senza danni) che si è concluso con una imprecazione: “Ma dove siete venuti a ballare?!?”. Ridiamo ogni volta ripensandoci.
M: Eravamo in treno durante uno dei tanti viaggi fatti insieme. Simona stava scrivendo un sms col cellulare quando passa il controllore: “Signorina metta giù i piedi!”, lei col sorriso risponde “Sono le mie braccia”. Lui ha cambiato colore, ha fatto avanti e indietro scusandosi imbarazzato almeno 50 volte finché ridendo non abbiamo detto: “Le scuse non bastano, ci vuole champagne!”, eravamo ovviamente ironici ma… è arrivato col Berlucchi.
C: Chi è migliore nella danza tra te e il tuo compagno di intervista?
S: Siamo due ballerini completamente diversi. Marco è più contemporaneo, io più classico.
M: Non c’è un più bravo. Siamo uno l’opposto dell’altro e ognuno di noi nel modo di ballare e di stare in scena ha la propria personalità.
C: Chi è più ingenuo tra te e il tuo compagno di intervista?
S: Marco.
M: Io!
C: E se aggiungiamo Simona?
S: Simona!
M: Simona!
(entrambi rispondono con esclamazione e senza dubbi ndr)
C: Dille qualcosa di carino…
S: Ma dove siamo venuti a ballare?!?
M: Spesso litighiamo al telefono, via messaggio, oppure mi rompe le scatole, è una gran curiosona. Dopo tutte queste cose la reputo la mia sorellina.