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Empowerment

Per un’educazione innovativa ripartiamo dai bambini

Roberto Panzarani
Di Roberto Panzarani
Presidente dello Studio Panzarani & Associates, docente di Innovation Management e di Governo dell’innovazione tecnologia presso la facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Ha sempre operato nel campo della formazione. Attualmente,  come esperto di Business Innovation, si occupa dello sviluppo di programmi di innovazione manageriale per il top management delle principali organizzazioni italiane e internazionali. Il suo nuovo libro “Viaggio nell’innovazione Dentro gli ecosistemi del cambiamento globale” è edito Guerini e per Centodieci racconta come facilitare quei cambiamenti interni alle aziende in grado di creare nuove occasioni di business.
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Pubblicato il 27.06.2023 alle 8:30

In un momento in cui capire il mondo è sempre più difficile, dare la massima attenzione all’educazione, soprattutto dei giovanissimi, diventa forse l’unico fattore strategico per una società che voglia costruire un futuro in cui la disuguaglianza e lo smarrimento delle persone non diventino la normalità.

Educare controvento

«Perché le differenze non si trasformino in discriminazione è necessario educare controvento, mettere in atto una ribellione nonviolenta. Educare alla libertà è un artigianato difficile, che ha bisogno di ispirarsi a chi ha saputo incarnare una rivolta tenace e quotidiana, in grado di costruire strumenti culturali capaci di accrescere le possibilità di scelta di tutte e tutti. Ma per educare controvento è necessario moltiplicare le domande e seminare inquietudine». Così Franco Lorenzoni, per quarant’anni maestro elementare e, insieme, ricercatore e formatore in un laboratorio pedagogico d’avanguardia a Cenci, in Toscana, scrive nel suo ultimo libro Educare controvento. Storie di maestre e maestri ribelli Sellerio Editore Palermo, 2023, in cui dipinge l’avventura di una scuola capace di dare piena voce a chi apprende.

Situazione attuale

Spesso, si legge che uno studente su 5 è fragile negli apprendimenti, o perché ha abbandonato troppo presto gli studi, oppure perché, pur avendo conseguito un titolo, non ha raggiunto le competenze adeguate e la ricerca di Lorenzoni si focalizza proprio sul pieno sviluppo della persona umana e su una ricerca continua delle proprie capacità per cercare di contrastare ogni esclusione sociale.

L’Unicef rileva che 1 bambino su 4 è privo d’accesso all’istruzione primaria nei paesi più poveri, 129 milioni sono le bambine senza accesso alla scuola e 617 milioni i bambini che non raggiungono livelli di competenza adeguati. Senza tener conto che con la chiusura delle scuole per l’emergenza del COVID-19, milioni di bambini e ragazzi hanno sofferto di ripercussioni sul piano della frequenza scolastica e dell’apprendimento, della socialità e del loro sano sviluppo.

Apprendimento emotivo

Da una parte abbiamo il metodo finlandese con le sue lezioni di felicità, oppure Yale, con la professoressa Laurie Santos che si è accorta che tantissimi studenti dell’università non erano veramente felici, ma depressi, ansiosi e stressati e ha pensato a un nuovo corso, “Psicologia e buona vita”, avente per argomento la felicità che si può apprendere; dall’altra persiste l’idea di scuola vista come luogo istituzionale dove apprendere un bagaglio di conoscenze utili nella vita personale e professionale senza però porre l’attenzione sull’apprendimento emotivo.

Bisognerebbe comprendere dove smarriamo il senso di un’educazione innovativa che ponga davvero al centro il bambino come individuo pensante con tutte le sue sfaccettature emotive e poi quelle cognitive. Maria Montessori, nel secolo scorso, ha portato avanti quello che è stato riconosciuto come metodo educativo replicabile improntato sul rispetto della personalità del bambino e sullo sviluppo della sua autonomia, e così altri teorici e pedagoghi, ma spesso non basta perché ad un certo punto si interrompe la cura.

E così i bambini passano da spazi empatici e accoglienti, ad aule rigide e spersonalizzanti. 

Empatia degli spazi

Già nel 2015, sempre in un articolo per Centodieci, riportavo ciò che sostiene Harry Francis Mallgrave, nel suo bel libro L’empatia degli spazi e cioè che «Gli edifici sono spesso considerati oggetti stravaganti piuttosto che elementi palpabili cui i nostri corpi e i nostri sistemi neurologici sono inestricabilmente connessi. L’architettura non è un’astrazione concettuale bensì una pratica incarnata e lo spazio architettonico si costituisce primariamente attraverso un’esperienza emotiva e multisensoriale. Se le più avanzate scoperte scientifiche promettono benefici in ambito biologico o psicologico, queste stesse scoperte hanno anche la potenzialità di migliorare i nostri ambienti costruiti. Particolare attenzione va posta verso coloro per i quali progettiamo: le persone che abitano gli edifici che costruiamo».  

È da questa concezione che dobbiamo ripartire, da un’educazione emozionale in luoghi accoglienti e a misura di bambino, di ragazzo e di uomo. È un dato acquisito che l’interesse, e soprattutto il coinvolgimento emotivo, svolgono un ruolo centrale nei processi vitali e quando Maryanne Wolf, una delle più autorevoli neuroscienziate del panorama mondiale, asserisce che «la qualità del nostro pensiero dipende dalle conoscenze di base e dalle emozioni che ciascuno di noi mette in gioco» è chiaro che si sta riferendo a un apprendimento legato ai nostri stati d’animo che deve avvenire, per dirla come Galimberti «in luoghi dove [i ragazzi] non si riconoscono, o peggio ancora, dove si riconoscono senza essere stati loro a dirigere il proprio cammino e tanto meno ad aver scelto la meta a cui sono giunti». Quando dunque parliamo di edilizia scolastica non parliamo solo della sicurezza e della vivibilità degli alunni all’interno della scuola, ma parliamo della qualità dell’educazione, qualcosa che si riferisce ai contenuti stessi dell’educazione che vogliamo offrire ai nostri alunni e che parte dunque dal design degli spazi che devono favorire i processi di apprendimento degli stessi studenti.

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