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Empowerment

Perché affidare le comunicazioni di lavoro ai social network è una cattiva idea

Giulia Blasi
Di Giulia Blasi
Giulia Blasi è scrittrice, autrice e conduttrice radiofonica. Fa parte della redazione del periodico digitale di Treccani, Il Tascabile, e ha all’attivo una lunga esperienza come content e community manager nella rete italiana. Il suo ultimo romanzo si intitola Se basta un fiore (Piemme, 2017).
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Pubblicato il 13.10.2017 alle 14:30

 
Siete già stati bloccati da Facebook? Prima o poi capita a tutti: la nuova stretta sul linguaggio che è possibile o meno usare all’interno della piattaforma fa sì che uno ti possa insultare a piacimento, basta che non usi il termine dispregiativo per indicare una persona di colore o un omosessuale maschio, anche in senso ironico, anche per riportare le parole di qualcun altro. Basta quello (anche in uno screenshot) e sei fuori per un periodo dalle 24 alle 36 ore.
Non è dei blocchi di Facebook che vi voglio parlare, però, ma della nostra tendenza collettiva a fare affidamento su canali di comunicazione inaffidabili, specialmente per questioni di lavoro. Siamo entrati nell’era dello smart working, ormai si lavora ovunque, da una spiaggia greca a un baretto sulla Tiburtina: il che è comodo, ma può presentare degli inconvenienti, specialmente nella comunicazione.
Parto da Facebook perché un’amica che di mestiere fa la editor ha dovuto ripetere multiple volte che non intende intrattenere conversazioni di carattere lavorativo o ricevere manoscritti tramite Messenger. Una semplice regola di igiene della comunicazione che permette di tenere il personale separato dal lavoro. Eppure molte persone, prese dall’ansia di raggiungere il loro obiettivo, non tengono conto di questo desiderio.
I messaggi di Facebook non sono solo invasivi, sono anche inaffidabili. A volte non viene recapitata la notifica, a volte – se la persona non è fra i vostri contatti – la richiesta di “connessione” si perde fra mille altre notifiche e non viene vista affatto. A me personalmente è successo di essere invitata e disinvitata a una rassegna nel giro di poche ore perché non avevo risposto a un messaggio su Facebook, questo pur disponendo di un sito personale provvisto di ogni contatto possibile. La gente è nervosetta.
Infine, per tornare al mio punto originale: chi viene bloccato da Facebook – per qualsiasi motivo – non può rispondere ai messaggi. Condurre conversazioni lavorative, magari importanti, via Messenger è un ottimo modo per non ricevere risposta.
Peggio ancora è il messaggio su Instagram, che si perde inevitabilmente nel flusso delle notifiche. Personalmente li guarderò sì e no una volta al giorno, per cui scrivermi lì per cose importanti è come non scrivermi: non rischiatevela. La whatsappata, la telegrammata, l’sms sono un filo più sicuri, ma a parte che sono scoccianti, basta un down dei server o un locale con i muri spessi senza wi-fi e la conversazione si interrompe. E ricordatevi sempre che esiste una cosa che si chiama “diritto alla disconnessione”: a meno che non lavoriate al Pronto Soccorso, non c’è nulla di davvero urgente. O comunque nulla che giustifichi mandare messaggi alla gente con cui lavorate il sabato, la domenica, alle due di notte o mentre questi stanno in vacanza ad Aruba.
Più in generale, fare affidamento sui sistemi di messaggeria mobile per gestire situazioni lavorative può portare a buchi di comunicazione. Le aziende e i gruppi di lavoro intelligenti tendono a raggruppare le comunicazioni, piuttosto che a disperderle, usando software che permettono di dividere le conversazioni in canali, hanno sistemi di messaggeria diretta e la possibilità di condividere file e link. La posta elettronica, comunque, rimane il mezzo più affidabile per comunicare con qualcuno: permette di avere uno storico ricercabile per recuperare informazioni fondamentali, è meno invasiva e il galateo prevede di dare seguito a eventuali messaggi inevasi con garbati memorandum, che possono andare da “Hai pensato poi alla proposta che ti ho fatto?” a “Zio, dai, dimmi ‘sta cosa che ti ho chiesto” in caso l’interlocutore sia qualcuno con cui hai confidenza, o effettivamente tuo zio.

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