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Empowerment

Parcheggia la macchina e monta in bicicletta: riscoprirai la città, e te stesso

Davide Zane
Di Davide Zane
Ha vissuto per molti anni di marketing e comunicazione ed ha lavorato per grandi gruppi come Fastweb, Edison e Caterpillar. Ha conseguito un MBA alla SDA Bocconi nel 2011 e da allora coltiva un grande amore per l’innovazione e la creatività. È un consulente di Ars et Inventio | Bip ed aiuta le aziende nei loro processi di cambiamento. Davide è un runner appassionato e per allenarsi si alza molto presto al mattino.
Scopri di più
Pubblicato il 28.04.2017 alle 11:51

Quattro anni fa ho lasciato il mio lavoro di responsabile marketing e con esso un insieme di rituali e stili di vita che lo accompagnavano. Uno di questi era utilizzare l’auto ogni giorno per raggiungere l’ufficio.
Oggi faccio parte di quel 6% di milanesi (secondo uno studio del 2015 di Legambiente) che la mattina scosta le tende, controlla il tempo e, se non minaccia di piovere, indossa il casco e inforca la bicicletta.
Pedalare è diventato per me il modo consueto di spostarmi in città durante tutto l’anno e molte solide ragioni rafforzano questa scelta.
Innanzitutto la salute: un recente studio del British Medical Journal ha dimostrato che utilizzare la bicicletta per il percorso casa/ufficio diminuisce il rischio di mortalità per cancro o eventi cardiovascolari. Se poi consideriamo che, secondo l’ARPA, un automobilista, in un’ora, respira, nell’abitacolo, il doppio degli inquinanti di un ciclista o di un pedone, le due ruote sono ottimali persino in città.
Altri punti a favore riguardano il costo irrisorio anche rispetto ai pur economici mezzi pubblici, l’ecocompatibilità e un generale cambio culturale di tutte le metropoli occidentali, sempre più decise a chiudere le porte alle macchine, tanto che Parigi ha promesso l’eliminazione degli ossidi di carbonio entro il 2050.
Oltre a tutto questo, tuttavia, ci sono altre tre cose, del tutto personali.
La libertà
Tutte le volte che sento il “clac” del cavalletto ritorno mentalmente bambino, quando, per l’ottavo compleanno, mio padre e mio fratello mi portarono in regalo una bici da cross con la quale per anni ho saltato gradini e inzuppato vestiti puliti attraversando in velocità pozzanghere profonde e fangose. Anche oggi in sella mi sento libero. Posso permettermi qualsiasi deviazione, trovo parcheggio e sono sempre in orario.
La paura
In una città come Milano pedalare è rischioso. Faccio di tutto per essere prudente: il casco, la mano fuori quando giro, le luci. Ma penso in continuazione che potrebbe non bastare e quindi cerco di fare amicizia con questa sensazione primordiale che dovrebbe, per l’appunto, proteggermi dal pericolo. L’autrice Karen Thompson Walker, in un’interessante TED Talk, sostiene che “se lette in modo appropriato, le nostre paure possono offrirci qualcosa di prezioso come i nostri libri preferiti: un po’ di saggezza, un pizzico di intuizione e una versione di quella cosa così inafferrabile: la verità”.
La consapevolezza
Una volta in sella, non ci sono molte distrazioni, il che mi consente di concentrarmi sulle sensazioni fisiche di base (il respiro, l’aria, la temperatura) e sul contatto con la città. Palazzi, vie e negozi sono, nei miei percorsi quotidiani, sempre gli stessi. Càpita, però, che il cambio di stagione o un cielo diverso illuminino il consueto in modo inconsueto. Allora me ne accorgo, mi fermo, fotografo. A volte colgo l’opportunità per bere un caffè e regalare un momento di attenzione: a me stesso, alla città, alla giornata.
Ho ritrovato questi miei ultimi quattro anni da urban cyclist ben descritti da Ben Irvine: “In bicicletta sperimentiamo la magica gioia della curiosità; il piacere di sentire la mente immersa nel flusso; il calore che si trae dalla sicurezza di appartenere a una comunità e di avere un contributo da offrire; e l’esultanza profonda suscitata dall’incontro diretto con la natura e con l’umanità tutta. Andando in bici scopriamo ciò che Einstein ha saputo fino alla fine: qualunque cosa la vita abbia in serbo per noi, va tutto bene”.

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