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Empowerment

Proteggersi dagli errori è un errore. Meglio capire cosa ci possono insegnare in 7 mosse

Luca D'Elia
Di Luca D'Elia
Consulente. Laurea in Filosofia presso l’Università Statale di Milano, dal 2004 si occupa di formazione manageriale e comportamentale. Ha finora lavorato per oltre cento importanti aziende nazionali e multinazionali. È keynote speaker in convention e meeting aziendali. Parallelamente all’attività di consulenza, si occupa di docenza accademica, collaborando negli anni con diversi istituti ed università, tra cui IULM, Università Cattolica, Istituto Marangoni, IED, Accademia del Lusso, SUPSI (Lugano).
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Pubblicato il 27.07.2016 alle 15:22

L’errore rappresenta il rovescio negativo di ciò che tanti di noi vorrebbero raggiungere: la perfezione! Proprio per questo, quando l’errore appare, spesso cerchiamo di ignorarlo, oppure di nasconderlo. L’innovazione tuttavia si nutre di errori e fallimenti. Dagli errori si può imparare. Ma, analizzandoli con cura e attribuendo loro un significato nuovo e positivo, dagli errori si può anche guadagnare.

Soichiro Honda, fondatore di Honda Motor Company, ebbe a dire: «Molte persone sognano il successo. Per quanto mi riguarda, il successo si può raggiungere solo attraverso continui fallimenti e tanta introspezione. Anzi, il successo rappresenta l’1% del lavoro di un individuo: questo 1% deriva dal restante 99%, che si chiama fallimento».

Pretendere di eliminare gli errori è un modo efficace per annientare l’innovazione

Pretendere di eliminare gli errori è un modo efficace per annientare l’innovazione. Se un’azienda vuole incoraggiare i propri dipendenti a produrre nuove idee e smettere di ricorrere a procedure e sistemi già sperimentati, premiare il successo non basta. Occorre avere il coraggio di premiare anche i fallimenti, soprattutto quelli da cui si può imparare e guadagnare qualcosa. Limitarsi a premiare il successo infatti scoraggia le persone ad assumersi dei rischi. Se vogliamo che i nostri collaboratori facciano innovazione, dobbiamo concedere loro il giusto tempo per pensare, immaginare, fantasticare. Per produrre, perfezionare e verificare l’efficacia di nuove idee.

Henry Ford diceva spesso: «Il fallimento è un’opportunità di ricominciare da capo in modo più intelligente». Sul valore del fallimento, un aneddoto illuminante è quello che riguarda Thomas Watson Sr., fondatore di IBM. Watson fece chiamare nel suo ufficio un manager che aveva commesso un errore che era costato ad IBM dieci milioni di dollari. «Immagino che mi abbia convocato per chiedere le mie dimissioni», disse il manager. «Nemmeno per scherzo – replicò Watson – abbiamo appena speso dieci milioni di dollari per la sua formazione!».

Ecco sette mosse per innovare premiando il fallimento:

  1. Valorizzate le persone che hanno un’esperienza pregressa di “fallimenti intelligenti”, che hanno consentito di trarre insegnamenti significativi.
  2. Monitorate i fallimenti, condividendo con il vostro team che cosa si è imparato.
  3. Tollerate e ricordate gli errori, non dimenticateli e non nascondeteli.
  4. Incoraggiate i fallimenti, ma non gratificate chi continua a ripetere lo stesso errore: perseverare è comunque diabolico.
  5. Prendete nota di tutti gli errori commessi da altre aziende o da altri team della vostra azienda e cercate di trarne gli opportuni insegnamenti.
  6. Pensate creativamente a come si possa trovare un’applicazione efficace di un fallimento, cercando di trarne non solo una lezione, ma anche un guadagno.
  7. Punite il conservatorismo, il vero ed unico fallimento che deve essere condannato se si vuole promuovere l’innovazione.

Vi lascio con un caso esemplare di come si possa guadagnare, e non solo imparare, da un fallimento. Il Post-it è frutto di un grande errore. Era il 1968, quando Spencer Silver, ricercatore della 3M, lavorava alla messa a punto di un adesivo ultraforte. Sfortunatamente, un lotto di quella colla sperimentale risultò particolarmente debole. Silver condivise con i colleghi quel fallimento, nella speranza che qualcuno di essi potesse trovare un’utile applicazione per quel prodotto difettoso. La svolta arrivò anni dopo, grazie ad Art Fry, un altro ricercatore 3M. Fry, assai religioso, si trovava in chiesa e cercava di evitare che i segnalibri cadessero dal libretto dei salmi, quando si ricordò del fallimento di Silver. Una proprietà specifica di quella colla ultradebole era proprio la capacità di aderire nuovamente dopo il distacco. Perché non applicarla ai segnalibri, e più in generale a dei foglietti? Nel 1980, sei anni dopo l’intuizione di Art Fry, i Post-it fecero la loro comparsa sul mercato, divenendo in breve tempo uno dei prodotti più profittevoli della 3M.

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