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Empowerment

Quali saranno le professioni più richieste e quelle destinate a scomparire?

Giacomo Damian
Di Giacomo Damian
Appassionato di economia, impresa, finanza e mercati, ne scrive da anni su carta stampata e web con lo pseudonimo di Buddy Fox.
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Pubblicato il 23.11.2020 alle 10:17

Le previsioni sono estremamente difficili. Specialmente quelle sul futuro.

(Niels Bohr)

Come sarà il futuro nessuno lo sa. Per nostra fortuna qualcuno comunque continua a provarci nonostante le note difficoltà. Le domande d’obbligo sono sostanzialmente due: come sarà il mondo del lavoro tra una decina d’anni? Quali saranno le professioni più richieste e quelle destinate all’obsolescenza?

In tema di previsioni economiche una delle voci più autorevoli è quella della Banca Centrale Europea. La BCE ci avverte che la transizione verso un’economia sostenibile perché rispettosa dell’ambiente non è un capriccio da paesi ricchi, ma una necessità: il rischio economico derivante dal cambiamento climatico non è infatti più accettabile. Questo in soldoni significa che è indispensabile progettare, produrre e consumare in modo diverso da quanto abbiamo fatto sino a ora. E a tale scopo sono sempre più indispensabili strutture digitali efficienti e soprattutto ben distribuite su tutto il territorio affinchè questa tecnologia possa essere trasformata compiutamente in valore. Un cambiamento che l’emergenza Covid-19 e il diffondersi dello smartworking ha reso se possibile ancora più urgente. 

Purtroppo l’ultimo report DESI (Digital economy and society index) l’indice che misura la digitalizzazione dei Paesi europei, vede l’Italia al 25° posto della classifica. Il nostro Paese ha ottenuto una valutazione complessiva di 43,65 mentre la media europea è di 52,62. Per inciso la piccola ma virtuosa Finlandia ha superato quota 72. Ci penalizza anche lo scarso utilizzo di Internet: siamo al 26simo posto in Europa e al 19simo per quel che riguarda i servizi pubblici digitali. La buona notizia è che questi dati sono stati elaborati sulla base delle informazioni prodotte nel 2019, prima che il Covid ci rinchiudesse a casa “costringendoci” così ad accelerare il percorso verso la digitalizzazione.

Se, come sostiene il premio Nobel Niels Bohr citato all’inizio di quest’articolo, fare previsioni sul futuro è difficile, non farle significa esporsi senza protezione alcuna al vento gelido del cambiamento. Non è un mistero per nessuno che l’Intelligenza artificiale e la robotica abbiano eliminato centinaia di migliaia di posti di lavoro in tutto il mondo. Occupazioni, è importante sottolinearlo, il più delle volte banali e ripetitive svolte da lavoratori scarsamente qualificati. Tuttavia, i passi da gigante che gli algoritmi compiono quotidianamente, l’evoluzione spinta da programmi di auto-apprendimento sempre più efficaci, fanno sì che in un futuro sempre più vicino siano destinati a scomparire anche mestieri tradizionalmente affidati ai cosiddetti “colletti bianchi”, in particolare le attività di gestione amministrativa e burocratica. Un processo inarrestabile destinato a coinvolgere un numero sempre più grande di compiti e mansioni: contrariamente agli esseri umani le macchine possono lavorare al buio, sette giorni le settimana, ventiquattro ore al giorno.
“Game over”, nel senso che il futuro è roseo solo per chi saprà scrivere codici informatici? Quando il gioco si fa duro (e non c’è dubbio che oggi lo sia) la soluzione è cambiare gioco, cioè fare le cose che gli algoritmi e i robot non sanno fare. La più importante è la qualità della relazione, in assoluto il valore più richiesto in ogni processo, scambio, interazione: ogni volta e in ogni circostanza in cui sono coinvolti esseri umani. Lasciamo alle macchine tutto ciò che è banale, faticoso, ripetitivo, per dedicare energie e risorse a ciò genera interesse, curiosità, stupore e benessere. L’economia sarà realmente sostenibile quando al centro stanno le persone non le cose.  

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