Quante volte abbiamo letto di corsi e workshop di public speaking per diventare un ottimo e brillante oratore? E quanti si sono trovati di fronte alle più sofisticate lezioni per entrare in contatto con il vero io e le nostre voci interiori?
È raro però vedere in rete o nelle bacheche reali l’annuncio di corsi che insegnano ad ascoltare l’altro – ed è un peccato, perché non solo l’ascolto è fondamentale tanto quanto l’osservazione, ma coloro che sanno ascoltare sono più affidabili, rispettati e riescono ad avere un contatto più efficace con la realtà e con ciò che fanno.

Possiamo anche azzardare e dire che l’ascolto spesso è più prezioso del parlare. Guardiamo indietro: molte guerre sono state combattute, fortune dilapidate e amicizie distrutte fondamentalmente per mancanza di ascolto. In pratica è solo attraverso l’ascolto che noi ci impegniamo, comprendiamo, entriamo in empatia, cooperiamo e ci sviluppiamo come esseri umani. L’ascolto è fondamentale per qualsiasi relazione di successo – personale, professionale e politica.
In pratica è questo che sostiene e scrive la giornalista Kate Murphy, autrice del libro You’re Not Listening: What You’re Missing and Why It Matters, purtroppo non ancora tradotto in Italia.

La cosa interessante è che le persone non sanno spiegare cosa significhi essere un buon ascoltatore, tuttavia conoscono perfettamente le varie modalità che identificano un cattivo ascoltatore: interrompere, guardare il telefono mentre l’altro parla, dare risposte narcisistiche o confuse. Ne consegue che le persone hanno più esperienza nell’essere interrotte, ignorate e fraintese rispetto a quelle in cui vengono comprese.

Mai come in un momento come questo in cui la comunicazione è in mano alla tecnologia è sempre più difficile ascoltare. È difficile stabilire un contatto in mezzo alle mille voci che arrivano dai social media, con l’abuso degli emoji nei messaggi, con gli auricolari wireless che occludono l’ascolto e ci fanno stare sempre più soli. Anche gli ambienti sono sempre meno listen-friendly, dal frastuono acustico dei ristoranti agli uffici open space.

Insomma, tutto rema contro l’ascolto, pratica che dovrebbe essere sempre più promossa, perché i buoni ascoltatori sono anche quelli che pongono buone domande e che quindi generano conversazioni più interessanti: chi sa ascoltare mette a suo agio l’interlocutore, riesce a tirar fuori contenuti stimolanti, anche perché l’ascolto va oltre il semplice sentire quello che la gente dice, ma riguarda anche il prestare attenzione a come lo dicono, cosa fanno mentre lo dicono e in quale contesto.
Ne consegue che l’ascolto è un’abilità. E come ogni abilità ha bisogno di essere esercitata.
Il saper ascoltare bene – conclude la Murphy nel suo libro – permette di costruire relazioni collaborative e produttive e capire quali sono quelle da evitare. Al contrario, un cattivo ascolto limita la tua comprensione e impedisce di diventare “the best you can be”.