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Empowerment

Una tranquilla mattina dell’anno 2050. Riflessioni sul lavoro che verrà

Matteo Plevano
Di Matteo Plevano
Psicologo del Lavoro, founder di Green Jobs Hub, acceleratore motivazionale che facilita il cambiamento verso l’economia sostenibile e socialmente responsabile. Convinto sostenitore che il futuro di individui, imprese e intera società possa evolvere attorno a questi 5 assi: autenticità, fiducia, responsabilità sociale, sostenibilità e qualità della vita.
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Pubblicato il 25.11.2015 alle 9:30

Ore 8.03 del 29 ottobre 2050.
Fresca e uggiosa mattina milanese, alba di una nuova giornata di lavoro.

Davanti ad un cappuccino rifletto su quanto sia cambiato il lavoro dall’epoca di mio nonno e di quanto tempo, energie, fatiche si siano sprecati solamente per restare negli schemi consolidati, radicati in secoli di attività umana. A guardare indietro mi pare tutto assurdo ma le cose fino agli anni 2010 andavano proprio così… incredibile!

Il lavoro deve essere piena realizzazione di sé e delle proprie passioni, non deve essere vissuto come obbligo e costrizione

Arrivo finalmente al mio coworking tematico, saluto i colleghi di visione e mi metto subito all’opera, pieno di carica come sempre. Anche oggi svilupperò la mia attività, in una logica di miglioramento del mondo secondo quelli che sono i miei principi e i miei valori, condividendo con i colleghi esperienze, pensieri e collaborando fattivamente nella realizzazione delle attività. Essere padroni della propria vita è meraviglioso, e sentire di costruire giorno dopo giorno il futuro che si desidera è quanto di più appagante possa accadere ad una persona. E pensare che fino a 30 anni fa il lavoro era ancora visto come mero mezzo per sopravvivere, in cui spesso era necessario accettare compromessi di ogni tipo pur di portare il pane a casa; per non parlare della schiavitù dell’orario, badge da timbrare, ferie contate: sembra preistoria.

La vera svolta è avvenuta quando si è ribaltata la relazione tra persona e lavoro: non più la persona che si deve adattare al lavoro, attingendo alle proprie energie per la sopravvivenza, ma il lavoro che viene generato dall’energia della persona, dai suoi entusiasmi, passioni, sprigionando una motivazione e una carica incommensurabili all’altro modello, superandone di gran lunga gli aspetti positivi.

Lavorare faticando si, ma facendo ciò che si ama. Questo è quello che dovremmo fare tutti

È accaduto tutto quando ci si è accorti che cavalcare le passioni delle persone era enormemente più impattante per l’economia rispetto alla loro canalizzazione in schemi preordinati, volti alla limitazione della sofferenza.
Il lavoro è passato dall’essere considerato fatica, sacrificio e sofferenza a entusiasmo, passione, realizzazione di sé. Ovviamente la fatica c’è sempre, ma un conto è faticare facendo ciò che si ama, un altro è faticare per non soccombere. Come in una corsa ciclistica, lo scatto per la vittoria è molto faticoso in termini fisici ma lo si fa con felicità perché è pieno di vita; arrancare per non staccarsi dal gruppo è una fatica, forse minore in valori assoluti, ma pesante e carica di sofferenza.
Certo, se non si fosse deciso di eliminare la povertà, non sarebbe stato possibile. E pensare che bastava così poco… bastava portare una piccola parte di ricchezza degli uomini più ricchi a favore di coloro che hanno meno (o che è meglio definire come coloro che non sono ancora riusciti a sviluppare la propria attività e a realizzare se stessi). Così si sono liberate le persone dal vincolo della sopravvivenza e come per incanto il lavoro è diventato immediatamente l’espressione della realizzazione di sé e del modello di società che si desidera. Questa liberazione di energie ha generato una crescita economica esponenziale rispetto a prima, consentendo di aiutare ampliamente chiunque non sia ancora riuscito a sviluppare il proprio progetto.

Quando penso a mio nonno, e alla sua paura di perdere il posto di lavoro, alla disoccupazione, a retribuzioni da fame, mi sembra un mondo assurdo, eppure era così. Oggi sono le persone che scelgono quale visione realizzare, e di conseguenza si affiancano all’impresa che meglio risponde alle loro esigenze, in una sinergia tra imprenditore e collaboratori che è assoluta. I rapporti di forza sono equilibrati e se le cose non dovessero funzionare basta cambiare impresa o progetto, oggi la disoccupazione non esiste.

Un tempo chi non lavorava moriva di fame… pazzesco. Oggi chi non lavora ha un reddito dignitoso da parte dello Stato Mondiale che gli consente di sviluppare attività che possono non avere necessariamente un ritorno economico: così si sono sviluppati milioni di attività in settori quali l’assistenza alle persone malate, agli anziani, ai bambini, il supporto psicologico alle persone in difficoltà, l’arte, la musica, il teatro, la cultura in generale o i servizi più innovativi per il bene comune e di miglioramento della qualità della vita di tutti.
Un tempo il mondo era così pazzo che i milioni di posti di lavoro erano dediti alla burocrazia e non alla qualità della vita.

Bene, è già l’ora di pranzo, un’altra fantastica giornata di lavoro è terminata, inforco la mia bici e torno a casa per un pomeriggio con mia moglie e i miei figli, un ottimo modo di spendere il mio tempo.

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