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Innovazione e Sostenibilità

Arte a Decentraland: nel magico mondo del futuro

Stefano Monti
Di Stefano Monti
Economista ed Imprenditore. Ha fornito consulenza economica e finanziaria a Pubbliche Amministrazioni ed Imprese. Fornisce competenze, in Italia e all’estero, di management, di advisory e di posizionamento strategico nei settori della mobilità, del turismo e della riqualificazione urbana attraverso la cultura. In Centodieci descrive come poter applicare logiche di investimento al comparto culturale e del turismo.
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Pubblicato il 14.05.2021 alle 10:13

Volendolo spiegare in modo semplicistico, Decentraland è una città virtuale in cui le persone possono acquistare pezzi di terreno e “costruire” attività, anche con lo scopo di “lucrare”. Non è il primo esperimento in questo senso: si pensi, ad esempio, a Second Life, una delle prime e sicuramente tra le più famose iniziative in questo senso, fondata nell’ormai lontano 2003. A segnare tuttavia la differenza tra i Mondi virtuali di “prima generazione” e quelli che invece stanno acquisendo oggi un sempre maggiore interesse è principalmente l’utilizzo della tecnologia Blockchain e dei famosi Non Fungible Tokens, di cui tutti, ma proprio tutti, parlano in questi giorni.

Rimandando dunque ad uno degli innumerevoli articoli online che cercano di definire in modo più o meno tecnico cosa siano questi famigerati NFT, è opportuno considerare come tali Tokens possano essere assimilati ad una particolare categoria di contratto, mediante il quale si identifica in modo univoco il legittimo possessore di un oggetto digitale “unico” (immagine, video, opera d’arte o altro), al di là di quante “copie” possano circolare su internet. Un esempio concreto (ancorché digitale) potrà forse essere d’aiuto. Immaginiamo dunque che una società di abbigliamento, come la Adidas, realizzi un unico prototipo (digitale) di un giubbino (digitale) e che lo metta in vendita in un Mondo Virtuale.

Chi lo acquisterà, acquisterà presumibilmente un NFT con il quale si certifica di essere il proprietario del suddetto giubbino, e quindi sarà legittimato ad utilizzare tale giubbino per “vestire” il proprio “avatar”. È proprio la possibilità di rivendicare la proprietà di un oggetto digitale che ha fatto esplodere quelli che molti considerano la “bolla” degli NFT artistici: a differenza di quanto accadeva poco meno di un secolo fa, infatti, l’opera d’arte non si trova più nell’era della “riproducibilità tecnica” ma nell’era della clonazione tecnologica, e gli NFT, di fatto, rappresentano il presupposto attraverso il quale conciliare l’assoluta libertà di “clonazione” dell’opera con la necessità di “identificarne” “la matrice primigenia”, creando i presupposti tecnologici per amplificare il fenomeno del collezionismo d’arte digitale.

E’ chiaro che questi strumenti hanno notevolmente amplificato le possibilità dei mondi virtuali rispetto a quanto fosse possibile nei mondi “precedenti”, aprendo un duplice mercato, che da un lato cerca di interessare “nuovi potenziali utenti”, come ad esempio i collezionisti d’arte, ma che dall’altro, (e forse soprattutto), consente a persone e ad organizzazioni che hanno un surplus finanziario in criptovalute di poter investire tali disponibilità economiche senza che le stesse debbano essere “convertite” in valute “centrali”, evitandone tutte le complicazioni in termini fiscali. Entusiasmi a parte, non mancano alcuni punti di criticità: alcuni sono dettati dalla natura ancora acerba degli NFT (la già citata questione fiscale, la gestione dei contratti sui mercati secondari, la condizione di anonimato, ecc.), mentre altri, e sono questi i più interessanti, riguardano una visione strategica di lungo periodo.

Con riferimento a quest’ultima categoria, un limite a cui si presta poca attenzione potrebbe essere definito come il “limite del reale”. Per quanto forte possa essere l’espansione del mondo digitale, infatti, attualmente i mondi come Decentraland e il mondo fisico nel quale trascorriamo almeno parte della nostra esistenza sono ancora molto distanti.

Tale distanza può essere ridotta soltanto attraverso due linee di intervento: una linea infrastrutturale (ad esempio, in molti musei italiani non è presente una rete Wi-Fi a disposizione dei visitatori, impedendo così di poter fruire di contenuti online), e una capacità progettuale che potremmo definire “cross-universe”. Se la prima linea di intervento, quella infrastrutturale, pare essere una delle grandi promesse del Recovery Plan, meno evidenti sono invece le progettualità in grado di declinare un’offerta unitaria di contenuti, che generi, attraverso l’integrazione tra mondo digitale e mondo fisico, un valore aggiunto per i cittadini.

È in questo senso che l’arte può rivestire un ruolo di rilievo.

Basti pensare, ad esempio, a come ben si presti in questo senso una Fiera d’Arte: un mondo “effimero”, fatto di padiglioni estemporanei, che ben potrebbero essere “replicati” in virtuale, fornendo ai galleristi l’opportunità di poter presenziare da un lato e dall’altro dell’Oculus, con opere diverse, rivolti a collezionisti forse differenti, ma che in futuro tenderanno ad essere sempre meno distanti.

Interpretato secondo questa prospettiva, lo scenario digitale può presentare molti più “cambiamenti” di quanti invece possa apportarne restando “separato” dal mondo fisico, trovando in appassionati di criptovalute gli unici anelli di congiunzione. Rimanendo, ad esempio, in tema di fiere, si pensi a quanto possano cambiare i “modelli di business” di questo settore, definendo un sistema in grado di poter monitorare con certezza anche le vendite di opere “viste in fiera” ma acquistate successivamente.

Probabilmente questo non cambierebbe la struttura delle maggiori fiere internazionali, ma potrebbe essere un grande trampolino di lancio per quelle fiere che per scelta curatoriale e di business, si rivolgono principalmente a gallerie con artisti emergenti. Nei fatti, ciò che è certo, è che questo è per l’arte un potenziale momento epifanico, in cui hanno tutti “diritto di sbagliare”, di “errare”: a quanto pare, tuttavia, la maggior parte degli operatori (nazionali ed internazionali) si sta lasciando trasportare dalla “corrente”, inserendosi in un mare-magnum in cui, per poter ottenere vantaggi competitivi, c’è bisogno di investimenti molto ingenti e che saranno appannaggio quasi esclusivo di coloro che, gli NFT, hanno contribuito a crearli, sia direttamente che indirettamente.

La grande opportunità non è nella creazione di nuovi universi, di nuove Decentraland (che esiste dal 2018), ma in servizi che sappiano integrare le innovazioni digitali nell’universo del tangibile, per raggiungere davvero un mercato nato a partire da una “pragmatica della realtà aumentata”.

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