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Innovazione e Sostenibilità

Cosa imparare dalla visione imprenditoriale di Ferruccio Lamborghini

Giacomo Damian
Di Giacomo Damian
Appassionato di economia, impresa, finanza e mercati, ne scrive da anni su carta stampata e web con lo pseudonimo di Buddy Fox.
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Pubblicato il 27.05.2020 alle 9:57

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A volte mi domando che idea possano farsi del cosiddetto “miracolo economico” i ragazzi che hanno imparato a usare il touch screen prima di saper leggere e scrivere. Dei favolosi anni Sessanta del secolo scorso, quando il nostro Paese sbalordiva il mondo centrando contemporaneamente obiettivi quantitativi e qualitativi fuori dall’ordinario. Quando, incredibile ma vero, la Lira veniva premiata quale moneta più virtuosa al mondo e il deficit di bilancio non raggiungeva il 60%. La Storia la fanno gli uomini e qualcuno la fa più degli altri. Come Ferruccio Lamborghini, il nonno di Elettra, l’artista che ha vinto due dischi di platino con il suo primo singolo. A differenza della nipote, abile imprenditrice dell’impalpabile (5 milioni di follower su Instagram) Ferruccio creò dal nulla un piccolo impero di oggetti di palese consistenza fisica: macchine per lavorare la terra prima, macchine per sognare poi. 

Che uomo era Ferruccio Lamborghini? 

Le cronache ce lo raccontano come il tipico figlio della sua terra, l’Emilia-Romagna ribattezzata Motor Valley che ha dato i natali all’aristocrazia della nostra industria motoristica, la patria di Maserati, Ferrari, Dallara, Ducati, Pagani e Tazzani, per citare i più importanti inventori di motori. Un uomo che non terminò neppure le scuole elementari e nonostante ciò seppe costruire nel primo dopoguerra la “Lamborghini Trattori”, una delle più importanti aziende costruttrici di macchine agricole del nostro paese. Ai trattori seguirono negli anni sessanta i bruciatori e nafta e i condizionatori, prodotti di alta qualità offerti a basso prezzo. La decisione di costruire automobili sportive di lusso pare sia frutto di conflitti con il più celebre Enzo Ferrari, un’antipatia personale la cui veridicità sfuma nelle nebbie della leggenda. Come sia, ciò che è invece è storicamente accertato è l’eccellenza raggiunta in brevissimo tempo partendo letteralmente da zero: alcuni modelli, come la celeberrima Miura, divennero simboli del design e del saper fare italiano.

Tornando ai nativi digitali, cosa può insegnare la vicenda imprenditoriale di Ferruccio, l’emiliano con il bernoccolo della meccanica? Penso che l’insegnamento riguardi tre aspetti fondamentali.

Il primo, la volontà e l’intuito di intraprendere in prima persona: Lamborghini inizia nel 1947 acquistando gli automezzi inutilizzati dall’esercito italiano trasformandoli in macchine agricole.

Il secondo, il perseguimento costante e fin ossessivo dell’innovazione: Lamborghini fu tra i primi ad utilizzare nella sua officina macchine utensili a controllo numerico, garanzia di precisione e alta produttività

Il terzo, l’intelligenza mercatistica: Lamborghini inventa per i propri clienti un servizio di assistenza totale e personalizzata. Se una delle sue auto si rompe, c’è sempre un meccanico pronto a salire su un aereo con il pezzo di ricambio in valigia. Gratuitamente. “È un costo che rende” afferma sorridendo Ferruccio Lamborghini.

“Un costo che rende” è un principio sconosciuto alla gig economy, il mondo dei prodotti e dei servizi indifferenziati a basso prezzo. Una logica economica insostenibile nel lungo periodo. Creatività, innovazione, centralità del cliente: costi che rendono perché creano valore.

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