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Immagine principale di: Separa tempo libero e tempo lavorativo (anche con il virus)
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Innovazione e Sostenibilità

Separa tempo libero e tempo lavorativo (anche con il virus)

Roberto Panzarani
Di Roberto Panzarani
Presidente dello Studio Panzarani & Associates, docente di Innovation Management e di Governo dell’innovazione tecnologia presso la facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Ha sempre operato nel campo della formazione. Attualmente,  come esperto di Business Innovation, si occupa dello sviluppo di programmi di innovazione manageriale per il top management delle principali organizzazioni italiane e internazionali. Il suo nuovo libro “Viaggio nell’innovazione Dentro gli ecosistemi del cambiamento globale” è edito Guerini e per Centodieci racconta come facilitare quei cambiamenti interni alle aziende in grado di creare nuove occasioni di business.
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Pubblicato il 07.10.2020 alle 11:27

Già con la digital transformation il tempo di vita e il tempo di lavoro si erano mescolati grazie alle nuove tecnologie. Ora, con l’esperienza del Coronavirus, tutto questo è stato portato alla massima estensione. Viene facile domandarsi, quindi, come cambierà il concetto del tempo per le persone, quali riflessi ci saranno sulla loro vita personale e professionale e quale sarà la nuova identità del lavoro in futuro. In un loro articolo per l’HBR, Laura M. Giurge e Kaitlin Woolley riferiscono che l’attuale crisi da Covid19 e la conseguente esigenza di lavorare da casa, ha accentuato, aggravandola, una situazione che già nel 2018 era emersa, e cioè che il 30% dei dipendenti lavora nei fine settimana e nei giorni festivi. Il lavoro da casa, quindi, ha assottigliato ancora di più i già flebili confini tra tempo lavorativo e non senza generare un conflitto interiore nelle persone. Lo smart working è stato pensato perché la flessibilità aumentasse la motivazione, perché le persone fossero in grado di autoprogrammarsi il lavoro massimizzando la produttività, invece a farne le spese è proprio la motivazione personale. Le persone infatti si sentono intrinsecamente motivate quando si impegnano in attività che trovano interessanti, divertenti e significative, ma i dati della ricerca mostrano che lavorare nel tempo libero crea conflitti interni tra il perseguimento di obiettivi personali e professionali, portando le persone a “godersi” meno il proprio lavoro. 

Una soluzione potrebbe essere quella di dare un significato diverso alle definizioni di tempo libero e di orario di lavoro, ma questo è un passaggio che forse non tutti sono pronti a fare, perché equivarrebbe a superare il conflitto tra aspettative e realtà.

«Nella nostra esperienza, lo smart working in Italia continua a scontrarsi con un equivoco di fondo: parlare di lavoro agile non significa discutere di cartellini e orari di lavoro, ma di organizzazione aziendale, trasformazione digitale dei processi, sistemi di valutazione e, in ultima analisi, cultura aziendale. — ha commentato Arianna Visentini, fondatrice insieme a Stefania Cazzarolli di Variazioni e coautrice del libro Smart working mai più senza — Si tratta, di fatto, di un abilitatore dell’innovazione, di una piattaforma win-win capace di generare valore per l’azienda e per le persone. Resistere all’innovazione, in questo senso, equivale a generare costi materiali e immateriali, sia per l’azienda che per le persone». 

Anche le organizzazioni dunque, nel fare un passaggio necessario sul significato che si dà alla parola smart working, devono mettere i dipendenti nelle condizioni di sentirsi soddisfatti e motivati del loro tempo lavoro e del loro tempo libero che, inevitabilmente, influisce su tutta la produttività. Un lavoratore a tempo pieno nell’OCSE dedica, in media, il 63% della giornata, o  15 ore, alla cura personale (mangiare, dormire, ecc.)  e al tempo libero (socializzare con amici e familiari, hobby, giochi, utilizzo di computer e televisione, ecc.). 

Dal work-life balance, l’equilibrio tra orario di lavoro e tempo libero, si passa al cosiddetto work-life blend, venendo meno al diritto di essere disconnessi durante le ore di non lavoro. L’indagine del Randstad Workmonitor condotta in 34 Paesi ci dice che il 71% dei lavoratori italiani risponde a telefonate, email e messaggi di lavoro anche al di fuori dell’orario. Siamo al terzo posto in Europa, +6% rispetto alla media globale, e nel Vecchio Continente solo Portogallo e Romania sono più solleciti di noi.  

Equilibrio, dunque, è ciò a cui bisogna tendere per non perpetuare una vita lavorativa e privata stressati e sotto pressione.

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