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Empowerment

Non puoi piacere a tutti: dì qualche "no" agli altri, regala più "sì" a te stesso

Cristina Maccarrone
Di Cristina Maccarrone
Giornalista, content e community manager con una grandissima passione per il mondo per il lavoro e tutto quello che rappresenta una novità o, per meglio dire, “innovazione”. Appassionata lettrice di ogni cosa che le capiti sottomano (libri, giornali, articoli online e quant’altro) e “spacciatrice” di riviste che regala ad amici e conoscenti, scrive da sempre, ma è diventata giornalista nel 2006. Adesso scrive per lo più per il Web che ama profondamente così come i social network, tra tutti Twitter. Nel suo passato prossimo: la direzione e co-fondazione di Walk on Job, magazine dedicato a mondo del lavoro e [...]
Scopri di più
Pubblicato il 13.01.2017 alle 14:30

Chi scrive lo sa bene: si mettono insieme parole e opinioni per piacere anche e soprattutto agli altri. Diffidate sempre da chi vi dice il contrario, che scrive per se stesso: a volte è vero, ma nella maggior parte dei casi si tratta di una posa. Uno scrittore, un giornalista, un blogger scrivono per un pubblico al quale sperano di piacere. Piacere, peraltro, è una parola di cui mai come di questi tempi si è abusato: se pensiamo a like in inglese, il nostro primo pensiero va a quel pollice all’insù, diretta conseguenza di un clic spesso dato mentre siamo distratti in metro, stiamo salendo sul bus o magari parlando con qualcun altro. “Mi piace”, ma forse non so neanche se mi piace davvero, ma voglio confermarti che esisto e ti do la mia opinione. D’altro canto, il gioco è lo stesso per chi il like lo riceve: aumenta l’autostima e si ha una conferma che quel post, quella foto, quel video è qualcosa che può incontrare il gusto degli altri. Alcune persone o, in fondo, tutti? Probabilmente la seconda: sui social si spera, inconsciamente o consciamente, di piacere a tutti.
E questa, nella nostra realtà social-oriented, sembra essere la strategia giusta per emergere e affermarsi anche nel mondo del lavoro. Una strategia che alla lunga non paga né quando si detiene una leadership, amministratore delegato, ma anche responsabile di un certo settore dell’azienda o più semplicemente project manager, ma neanche quando lo si fa tra i propri colleghi. Non serve, insomma a portarci dove forse tutti vogliamo andare, dettaglio più dettaglio meno: farci valere per quello che davvero sappiamo fare o che crediamo di sapere fare e costruire su questo un piccolo o grande successo.
I motivi per cui piacere a tutti non è una strategia vincente?
Vediamone alcuni:
Perché è praticamente impossibile
Sembra banale eppure è così: provare a essere carismatico, quando non è proprio il nostro punto forte o ancora cercare di dare ragione a tutti vuol dire praticamente non darne a nessuno. Così come dire sì a questo o a quell’altro trattando ogni cosa e ogni persona con la stessa importanza. Avete presente quando qualcuno vi dice che quella è l’idea del secolo o che quella cosa è particolarmente urgente? Entrambi i contesti sono validi se è solo quella cosa a essere l’idea del secolo – e a essere motivata come tale – e se è quella cosa a essere urgente. Se invece è tutto importante ed è tutto urgente è come dire, paradossalmente, che niente lo è. Se diventa importante il parere di tutti, persone con idee, convinzioni, modi di fare e di crescere differenti vale a dire che realmente, andando nel profondo, non è importante il parere di nessuno, almeno non per l’opinione in sé, ma solo per il fatto di piacere e compiacersi. E questo privilegia la forma trascurando la sostanza. Cosa che può funzionare per un po’, ma non per sempre.
Perché è importante giocare con le proprie regole…
… rispettando sempre gli altri. Pensateci: se siete davvero convinti di una cosa, della bontà di quel progetto, della realizzazione di quell’idea, andrete comunque avanti trovando strumenti e mezzi che vi aiuteranno a realizzarla. Questo non vuol dire che siete immuni dal fallimento perché nessuno lo è, ma è certo che se avrete giocato seguendo le vostre regole e inclinazioni, senza peccare troppo di presunzione, sarete in pace con voi stessi. E ciò vi porterà sicuramente a una cosa: al fatto che gli altri, attratti dal vostro essere davvero convinti, a dispetto di qualsiasi cosa, vi seguiranno e proveranno a capire e a imparare le vostre regole. Tutti i grandi, ma anche chi “grande” nel senso storico non è, hanno fatto così: basti pensare a Steve Jobs e al rapporto con la sua Apple, agli ideatori di Airbnb che sono partiti da una esigenza personale per incontrare il bisogno dei viaggiatori o a tanti altri “visionari”, come vengono comunemente chiamati. Così come mi viene in mente Selene Biffi, imprenditrice sociale under 35, che è riuscita a creare Plain Ink – e altri progetti – con cui, grazie a libri e fumetti, combatte l’analfabetismo negli Stati più poveri, arrivando anche a salvare la vita di tanti bambini. Selene, la “maestra di Kabul”, di recente ha vinto, unica italiana finora, il Mother Teresa Award ed è partita non piacendo quasi a nessuno, soprattutto a coloro che non credevano, anni fa, che una ragazza avrebbe potuto creare davvero una sua “impresa sociale” e migliorare il mondo.
Perché si alimenta solo il proprio ego e si restringe il campo
Strettamente collegato a quanto sopra: se si vuole piacere a tutti, si rischia di essere la star del proprio mondo concentrando solo l’attenzione su di sé, sul proprio modo di fare e di vedere le cose. Per un leader, lo sappiamo, è controproducente. Si finisce con il perdersi le novità, con il non catturare le intuizioni, con il non accorgersi di cosa le persone davvero pensano e sentono. Vale anche per chi leader non è, ma tiene alla propria crescita personale: piacere a tutti può voler dire solo alimentare il proprio ego, nulla di più.
Perché non si scopre chi siamo davvero
Una cosa è sapere chi si è, un’altra è recitare una parte. Nel mondo del lavoro, capita spesso di dovere comportarsi secondo un’attitudine consolidata, seguendo un metodo provato dai più e ormai radicato. Una strada già battuta che magari non ci convince, ma ci aiuta nel quieto vivere. Ma qualche volta questo modo di fare può diventare pericoloso: quando ci si dimentica chi si è, cosa si voleva fare con quel lavoro e qual erano le nostre vere aspettative. Ovvio che si cresce e si cambia, ma mantenere la parte più vera di noi ed evitare che coincida con il ruolo che ci siamo assegnati o ci hanno assegnato è una strada molto difficile da seguire, possibile solo se si piace un po’ più a se stessi e all’idea che si ha di sé. L’idea vera che si può scoprire dicendo qualche no in più agli altri e qualche sì in più a se stessi.
 

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