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Immagine principale di: I tesori dell’incredibile Damien Hirst
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Arte e Cultura

I tesori dell’incredibile Damien Hirst

Ramona Ponzini
Di Ramona Ponzini
Fondatrice dell’art project Treti Galaxie, insieme al curatore Matteo Mottin organizza da anni mostre di giovani artisti italiani e internazionali. Esperta di arte contemporanea, e art advisor con specifica competenza per l’arte emergente, collabora con le riviste Artribune, Duels e Flash Art. Laureata in Lingue e Culture dell’Asia e dell’Africa per la Comunicazione Internazionale, è nipponista e traduttrice. È inoltre sound perfomer e musicista sperimentale.
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Pubblicato il 14.07.2021 alle 12:04

Qual è l’artista più irriverente dell’arte contemporanea? Molti potrebbero dire Maurizio Cattelan. E non avrebbero torto. Sicuramente è una bella sfida quella tra il monello di Padova e l’enfant terrible degli YBAs (Young British Artists), Damien Hirst.

Arte in formaldeide

Come sempre quando si parla di Damien Hirst, classe 1965, non si può che rimanere stupefatti. Le sue opere più note toccano un tema universale e ostico, la morte, che l’artista di Bristol formalizza negli Anni Novanta con grandi animali imbalsamati immersi in vasche di formaldeide, come lo squalo tigre di quattro metri dal titolo The Physical Impossibility Of Death In the Mind Of Someone Living (L’impossibilità fisica della morte nella mente di un essere vivente), del 1991.

A Thousand Years (Mille anni), del 1990, consiste invece in una teca suddivisa in due ambienti, da una parte la testa mozzata di una mucca, dall’altra un cubo di larve di mosca. Per raggiungere la testa in putrefazione le mosche devono attraversare una lampada moschicida elettrificata. Cruda metafora del ciclo di vita, gli vale numerose critiche, soprattutto sul versante animalista, critiche che lo accompagnano anche negli anni successivi ma che non gli impediscono di vincere il prestigioso Turner Prize nel 1995.

Quali sono, ci chiede Hirst, gli strumenti di cui l’essere umano si è dotato per esorcizzare la morte? A questa domanda sembrano rispondere gli armadietti di medicinali e le composizioni di pillole colorate, feticci scientifici a cui l’uomo si rivolge per fede. Perché, allora, non rivolge la stessa fede nei confronti dell’arte?

Una cascata di diamanti

Nel 2007 Hirst torna a far parlare di sé con For the Love of God (Per l’amor di Dio), un teschio umano fuso in platino e ricoperto di quasi novemila diamanti, opera manifesto di potente catalizzazione mediatica, moderna vanitas che allude alla caducità dell’esistenza e ci ricorda quanto sia effimera la condizione umana, anche (soprattutto?) nella scintillante società dei consumi.

In molti l’hanno criticato ma lui non si è fermato un attimo, inarrestabile come la forza centrifuga con cui crea le tele super pop della serie spin paintings.

Il naufragio della post-verità

Nel 2017 l’enfant terrible di Bristol torna sotto i riflettori con una mostra sorprendente e che accende numerosi dibattiti (di inutile magniloquenza, sostengono alcuni): Treasures from the Wreck of the Unbelievable (Tesori dal relitto dell’Incredibile), allestita nella doppia sede della Pinault Collection di Venezia, Palazzo Grassi e Punta della Dogana, per la prima volta affidate contemporaneamente a un singolo artista, e inaugurata in concomitanza della 57 Biennale Arte. Hirst ci racconta la storia del naufragio della grande nave ‘Unbelievable’ (Apistos, in greco antico) e ne espone il prezioso carico ritrovato sul fondo del mare: una strabiliante collezione appartenuta al liberto Aulus Calidius Amotan, conosciuto con il nome di Cif Amotan II, e destinata a un leggendario tempio dedicato al Dio Sole. Il ritrovamento è documentato con tanto di video e di plastico del relitto. Le opere paiono provenire da una dimensione spaziotemporale fantascientifica, attraverso uno Stargate, realizzate in materiali preziosi, ori e marmi.

Dieci anni di produzione, un lavoro di ricerca ambizioso e folle, una riflessione sul collezionismo, sulle fake news e sulla post-verità, visitato da più di 360mila persone rimaste scioccate e incredule di fronte a questi incredibili reperti, che a un’osservazione più approfondita risultavano quanto mai vicini al loro tempo, il tempo di divi come Rihanna e Pharrell Williams, il tempo dei Transformers e di Topolino. Visitare la mostra significava immergersi in un kolossal della finzione, in una metafora dell’ecosistema della disinformazione, un atto sovversivo di sospensione dell’incredulità. 

Nel tempio dell’arte

Molte delle opere presenti nell’epocale mostra veneziana tornano in Italia con la riapertura dei musei post pandemia, nello specifico alla Galleria Borghese di Roma, dove resteranno esposte fino a novembre 2021, ricontestualizzate nel dialogo con i capolavori scultorei della Roma classica, della pittura rinascimentale e le più importanti opere di Bernini e Canova. Naturalmente accompagnate dal vespaio di polemiche che ogni mostra di Hirst solleva: perché esporre nuovamente queste opere al di fuori della costruzione narrativa che ne aveva siglato la nascita? Forse per compiere un irriverente gioco di auto-archeologia contemporanea, come il titolo della mostra, Archaeology Now, sembra suggerirci.

L’estate italiana dell’arte contemporanea avrà però un altro grande protagonista: il monello di Padova, il nostro enfant terrible, Maurizio Cattelan in arrivo a luglio a Milano negli spazi di PirelliHangarBicocca con una nuova mostra personale.

Chi vincerà la sfida?

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