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Arte e Cultura

Remo Rapino e l’importanza di non giudicare nessuno

Corinne Corci
Di Corinne Corci
Nata a Milano, è una giornalista praticante. Dopo essersi laureata in Lettere moderne e aver lavorato come correttrice di bozze per Mondadori, ha frequentato la scuola di giornalismo IULM. Collabora con alcune testate tra cui D la Repubblica, Icon e Rivista Studio.
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Pubblicato il 18.09.2020 alle 8:21

Nel Campiello della rinascita, che dopo il lockdown ha celebrato la finale per la prima volta a Piazza San Marco, ha vinto uno scrittore che indaga nelle nostre certezze e false convinzioni. Remo Rapino, con il suo «matto che riesce a comprendere il mondo», protagonista di Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio, ha infatti creato un personaggio tra Don Chisciotte e Forrest Gump. Con un linguaggio che è un flusso di coscienza parlato, «fatto di ombre e di luce», come ha sottolineato Rapino che ha insegnato Filosofia nei licei, vive a Lanciano dove è nato nel 1951, è al suo secondo romanzo ed è autore di poesie e racconti.

La storia è che la vita di Liborio è stata praticamente senza amore. Fatta eccezione per sua madre e il maestro elementare. La storia che si intreccia con quella dell’Italia, che avanza tra attentati a Togliatti, scioperi, prostitute, catene di montaggio, indigenza. Dal sud al nord, dal Friuli del servizio militare a Milano, poi Bologna e poi ancora al sud, passando per il manicomio, anni rassicuranti, finalmente un luogo protetto dove poter dialogare con lo psichiatra, promuovere iniziative, non sentirsi al margine di tutto. Perché Liborio Bonfiglio, nato nel 1926, è sempre stato il pazzo che tutti hanno schernito e che si aggira strambo e irregolare sui lastroni di basalto di un Paese che non viene mai nominato. Eppure, nella sua voce ingarbugliata, il Novecento torna a sfilare davanti ai nostri occhi con il ritmo travolgente di una processione, dalle case chiuse, alla guerra e la Resistenza, il lavoro in fabbrica, il sindacato, il manicomio, la solitudine della vecchiaia. Grazie a lui infatti, rimangono in mente i personaggi che popolano le pagine del romanzo, come il maestro Romeo Cianfarra, donn’Assunta la maitressa, l’amore di gioventù Teresa Giordani, gli amici operai della Ducati.

Remo Rapino commuove per la vita di un uomo che non si lamenta mai, e anzi accetta e“tira avanti”. Che «la vita pure di mancanze è fatta», come recita il protagonista, in una lingua frammentata e frammentaria, unita ai costrutti del dialetto che fanno emergere una personalità semplice e fragile, che arranca con le parole ma arriva nel profondo delle cose. Il raccontare e il ricordo di molte cadute e quasi nessun evento positivo rasserena e nobilita l’esistenza di Bonfiglio. Lo eleva ad esempio e cardine nella storia del mondo. La sua semplicità si fa saggezza e riesce a veicolare concetti quali l’insensatezza della vita e la forza dirompente e rivoluzionaria dell’accettarsi.

Ma nonostante questo, per anni è stato vittima di umiliazioni, emarginazioni solo perché era un po’ diverso, perché cammina con le pietre in tasca, parla da solo, non si fida più di nessuno. Ed è qui che troviamo questo profondo senso di umanità che emanano le pagine, senza che vi sia alcuna retorica, senza che Rapino ci voglia insegnare come comportarci. Un libro da inserire nei programmi scolastici che fa del ricordo arma per educare, che ti dice di non giudicare, ma di provare a sforzarti per comprendere.

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