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Empowerment

Basta perfezionismo: prova invece a essere un “meraviglioso disastro”

Micaela Terzi
Di Micaela Terzi
Business Coach. Ha fondato 2 start-up specializzate nello sviluppo di servizi per Smart City; nel 2015 ha deciso di dedicarsi esclusivamente alla consulenza e al coaching. Affianca professionisti e aziende che vogliono sviluppare il loro mindset per migliorare la loro efficacia e far crescere il loro business. Docente e formatrice, è esperta di Intelligenza Emotiva (certificata Six Seconds) e Designing Your Life Certified Coach.
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Pubblicato il 04.08.2023 alle 8:30

In un mondo in cui la perfezione sembra essere lo standard imperante, perché non andare controcorrente e provare invece a essere un “meraviglioso disastro”?

Le persone sono attratte da esseri umani che sono autentici e vulnerabili. Lo dice uno studio dell’Università di Mannheim, Germania, ispirato alle ricerche sulla vulnerabilità condotte da Brené Brown.

Secondo i ricercatori tedeschi, che hanno esaminato il cosiddetto “beautiful mess effect”, c’è qualcosa di bello nell’essere vulnerabili: le persone lo apprezzano, si riconoscono e addirittura ne sono attratti.

Ai soggetti coinvolti nello studio sono state presentate ipotetiche situazioni difficili, tra cui confessare i propri sentimenti romantici a un amico, ammettere un errore sul lavoro o essere il primo a scusarsi dopo aver litigato con il partner. Dopo aver letto delle rappresentazioni dettagliate, i partecipanti hanno valutato come si sarebbero sentiti se avessero visto un’altra persona rivelare la propria vulnerabilità in questi scenari e come si sarebbero sentiti se fossero stati loro a farlo. Il risultato? Dall’interno (cioè se a metterci “a nudo” siamo noi) queste dimostrazioni di vulnerabilità possono sembrare debolezze, mentre dall’esterno sono viste come dimostrazioni di coraggio.

Dire basta al perfezionismo e diventare un “meraviglioso disastro” significa accettare che qualche volta possiamo mostrarci vulnerabili, anche perché può aiutarci a costruire maggiore vicinanza e fiducia nelle nostre relazioni personali e professionali. 

Come vediamo gli altri e come vediamo noi stessi

C’è grande differenza tra come vediamo gli altri e come vediamo noi stessi. Se infatti con gli altri siamo più indulgenti e pensiamo che alcune manifestazioni di vulnerabilità siano sintomi del loro coraggio, non tolleriamo che questo accada a noi. E questo è uno dei motivi per cui seguiamo con accanimento un modello di perfezionismo che poi in realtà non ci porta da nessuna parte se non all’esaurimento e all’infelicità.

Secondo i ricercatori questo ha a che fare con ciò che viene definito “livello costruttivo”: quando pensiamo alla nostra vulnerabilità lo facciamo in modo molto concreto e specifico con i fatti. La interpretiamo e la giudichiamo da una prospettiva molto vicina, tangibile e concreta, e questo è un livello costruttivo basso.

Ma quando pensiamo agli altri, facciamo esattamente il contrario: pensiamo cioè con un livello costruttivo alto, ampio e astratto. Il risultato è che più il livello costruttivo è alto, più il nostro pensiero sulla vulnerabilità è astratto e tende a essere più positivo e ammirevole, mentre il livello costruttivo basso è più specifico e concreto e più negativo.

I nostri difetti, la nostra vulnerabilità, i nostri veri sentimenti e il nostro vero carattere, che ci crediamo o no, sono molto più attraenti di quanto pensiamo. E per questo motivo dovremmo perseguire la nostra autenticità e smettere di essere perfezionisti.

Ma come si fa? Ecco qualche suggerimento.

Come superare il perfezionismo

Il perfezionismo non è qualcosa che sparisce da un giorno all’altro. Per “guarire” e imparare ad abbracciare la nostra imperfezione, dobbiamo introdurre nuovi modi di pensare a noi stessi. 

1. Cambiare narrativa

Quando parliamo di noi possiamo farlo attraverso i fatti oggettivi della nostra vita, o attraverso la storia che ci raccontiamo su chi siamo (che spesso non è né obiettiva né indulgente). Secondo lo psichiatra e professore della Harvard Medical School John Sharp “Se si vuole cambiare la propria vita, bisogna rielaborarla”. La prima cosa da fare è comprendere dove la nostra narrativa diverge dalla realtà. Per prima cosa domandiamoci quante volte, parlando di noi, diciamo frasi come “Io sono sempre…”, “Io mi comporto sempre…” oppure “Io non sono mai…”. Quello che facciamo o che ci accade una volta non è lo standard, eppure il nostro cervello tende a focalizzarsi su ciò che noi ci raccontiamo. E se ci raccontiamo che “le cose vanno sempre così” diventa difficile cambiare. Dobbiamo imparare a pensare a tutti i nostri punti di forza e talenti, almeno tanto quanto pensiamo ai nostri errori e punti di debolezza… Le cose che ci sono accadute nella vita ci hanno fatto diventare quello che siamo oggi, e probabilmente ci hanno influenzato anche in modo positivo. Siamo diventati più intraprendenti, più responsabili, più empatici o più ambiziosi. E anche questi aspetti positivi, grandi o piccoli che siano, meritano un posto nella nostra storia.

2. Mettere a tacere il proprio critico interiore

Non mi merito quello che ho. Se non mi impegno al 110 per cento il mio capo sarà insoddisfatto di me e mi licenzierà. Se mi fermo ora perderò delle occasioni importanti.

Hai mai sentito pronunciare nella tua testa frasi simile a queste? Chi le dice? Sei tu o una persona specifica (tua madre o tuo padre, il tuo capo, un amico?). Come ti senti quando il tuo critico interiore prende il sopravvento? Secondo l’esperta di ansia Alice Boyes, mettiamo in atto un “narcisismo  autoprotettivo”. Siamo cioè convinti che l’unico modo per avere successo o essere amati sia essere sempre eccellenti e speciali. Ma chi lo dice? Essere compassionevoli verso se stessi significa potersi dire che possiamo avere una brutta giornata come tutti gli altri, che non dobbiamo sempre essere al top, e che se per una volta facciamo un brutto lavoro non ci succederà niente di male.

3. Imparare a fissare obiettivi “sufficienti”

Invece di andare sempre al massimo e fare continuamente sforzi sovrumani, prova a darti degli obiettivi “sufficienti”. Non dobbiamo lottare H24: possiamo anche fare semplicemente qualcosa di buono o mediocre, senza dover per forza dare sempre il meglio. Cosa succederebbe se in un progetto dessimo “solo” l’80%? La chiave è riconoscere tutti i risultati che otteniamo, non solo quelli che richiedono grande sforzo o che rappresentano grandi vittorie. Anche le piccole vittorie quotidiane devono essere celebrate o almeno riconosciute. Abbassare le aspettative al lavoro può essere più difficile, quindi prova con qualcosa di extra-lavorativo. Se di solito ti alleni per un’ora al giorno, prova a ridurre a 40 minuti e vedi cosa succede. Ti senti meno sotto stress? Vai in palestra più felice? Analizzare gli aspetti positivi dell’essere meno perfetti ci aiuta a capire che possiamo avere giornate più rilassate e tranquille o più spazio mentale rinunciando a un po’ di perfezionismo. 

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