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Empowerment

Sfidare anche i competitor più agguerriti – Cosa imparare da Adriano Olivetti

Matteo Muzio
Di Matteo Muzio
Giornalista professionista, è nato a Genova nel 1985. Ha scritto di economia, di cultura e di attualità per il Foglio, Il Secolo XIX, IL mensile del Sole 24 Ore e il Fatto Quotidiano. Scrive per Linkiesta.
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Pubblicato il 11.02.2020 alle 7:26

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Anche partendo da un contesto difficile, con un regime dittatoriale come quello fascista si può fare innovazione. Adriano Olivetti, nato nel 1901, era un figlio del Ventesimo secolo in tutto e per tutto. Nella sua parabola imprenditoriale e umana c’era proprio quella fiducia di inizio Novecento sull’azienda come potenziale creatrice di welfare e di un ordine politico e sociale più vicino ai bisogni dell’uomo e lontano dalle ideologie prevalenti. Ma anche a livello di prodotto la Olivetti fu estremamente rivoluzionaria e innovatrice, creando brand di successo come la macchina da scrivere Lettera 22 o la calcolatrice Divisumma, divenuti prodotti di uso comune negli uffici italiani. Ma vediamo cosa si può imparare, analizzando i suoi scritti.

Se un prodotto è semplice, allora funziona: il design della Olivetti pare non avere tratti distintivi, o meglio, ne aveva uno: la linearità, abbinata alla maneggevolezza. Grazie alla sua leggerezza, divenne l’equivalente del laptop nell’epoca analogica. E divenne l’indispensabile strumento di lavoro per migliaia di impiegati in viaggio e di giornalisti, come nella storica foto di Indro Montanelli seduto su un gradino. Allo stesso modo la Divisumma fece capolino su tutti i banchi dei collaboratori e dei contabili. Come se ci fosse sempre stata.

L’impresa può fare molto per la comunità: Olivetti fu molto critico in vita dei suoi colleghi imprenditori italiani, fautori di una rigida etica del lavoro per cui il valore dell’esempio di una vita austera e integralmente dedicata al lavoro, tramite la quale dovevano ispirare anche i dipendenti. Olivetti chiamava questa tendenza “moralismo-dolorismo”. Lui invece rispondeva creando un welfare aziendale generoso attraverso il quale il lavoratore si doveva sentire parte di un tutt’uno, di una comunità vera e propria, offrendo ad esempio abitazioni e asili nido. Un modello che, seppur datato nei suoi sviluppi, fornisce ancora una traccia utile per far stare meglio i propri dipendenti.

Sfidare i competitor internazionali, senza timore: in uno dei core business di Olivetti, la produzione di macchine da scrivere, nell’immediato Secondo Dopoguerra il business era dominato da due grandi aziende americane: la Remington Rand e la Underwood. Olivetti non si perse d’animo e continuò a innovare: la Lettera 22 fu un successo tale che la Remington Rand dovette fondersi con la Sperry Corporation mentre la Underwood venne comprata dalla stessa Olivetti. Ma anche nella sfida dell’elettronica si lanciò a viso aperto: grazie al genio dell’inventore italo-cinese Mario Tchou, realizzò il primo computer tutto italiano, l’Elea 9003, lanciato nel 1959, che cambiò le regole del gioco.

Elea 9003 Olivetti era così bello da far vincere a Ettore Sottsass il premio «Compasso d’oro» per il design.

Le morti improvvise di Adriano Olivetti nel 1960 e di Tchou nel 1961 interruppero tutto questo e la Olivetti entrò dunque in un periodo di declino irreversibile. Ma la loro eredità rimane come esempio di come sia comunque possibile conquistare il mondo anche partendo da una piccola cittadina in provincia di Torino, Ivrea.

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