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Empowerment

Dare un feedback costruttivo è importante, ma saperlo ricevere (senza rabbia) è essenziale

Micaela Terzi
Di Micaela Terzi
Business Coach. Ha fondato 2 start-up specializzate nello sviluppo di servizi per Smart City; nel 2015 ha deciso di dedicarsi esclusivamente alla consulenza e al coaching. Affianca professionisti e aziende che vogliono sviluppare il loro mindset per migliorare la loro efficacia e far crescere il loro business. Docente e formatrice, è esperta di Intelligenza Emotiva (certificata Six Seconds) e Designing Your Life Certified Coach.
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Pubblicato il 03.03.2017 alle 14:30

Quando parliamo di feedback ci riferiamo a un “processo per cui il risultato di un’azione si riflette sul sistema (sulla persona) che ha compiuto l’azione stessa, per correggerne o modificarne il comportamento”. In pratica il feedback consente alle persone e alle organizzazione di funzionare bene, di funzionare meglio, perché dà indicazioni precise (o almeno così dovrebbe essere) su come migliorare.
Per essere buono, un feedback deve essere prima di tutto oggettivo, e non basarsi su pregiudizi o simpatie. Il suo obiettivo è infatti quello di apportare un miglioramento, non di dare un voto. È necessario che chi dà un feedback (generalmente il datore di lavoro, un capo, un superiore) sia capace di formularlo nella maniera più corretta; e che chi lo riceve (il dipendente) sappia accettarlo.
Per dare buoni feedback, come anticipato, è necessario sospendere il pre-giudizio sulla persona in sé, e concentrarsi esclusivamente sulla performance, sulla situazione che richiede un intervento correttivo, o un commento. È inoltre fondamentale che il messaggio sia veicolato con parole e gesti privi di biasimo, generalizzazioni o addirittura violenza verbale; e che ci sia un’apertura verso il futuro, con suggerimenti su come migliorare e fare meglio la prossima volta che si verificherà una situazione simile. In pratica, per dare feedback, è necessario che ci siano due requisiti fondamentali:
– rispetto
– apertura
Ma questo processo non è unidirezionale. Se da una parte c’è qualcuno che dà un feedback, e che deve imparare a darlo correttamente, dall’altra c’è qualcuno che lo riceve, e che allo stesso modo deve imparare a non farsi travolgere dalle emozioni negative. Sicuramente a nessuno piace ricevere un commento negativo, ma è importante superare l’irritazione, o la frustrazione, o la collera che può provocare. Soprattutto è importante capire che non ci dobbiamo far paralizzare da un feedback negativo, ma anzi cogliere i messaggi positivi insiti in esso, e i suggerimenti forniti, in modo da poter far meglio in futuro.
Dopo aver accettato il feedback (perché essenziale alla propria crescita), bisogna analizzarlo, per capire chiaramente il messaggio (anche a prescindere da come è stato veicolato). Se il messaggio in sé non è convincente, è necessario riparlarne per chiarire gli aspetti che non sono stati compresi al 100% o che non sono pienamente condivisi, e infine passare all’azione. Questo significa che se il feedback riguarda un comportamento da modificare, è importante definire con il proprio responsabile il percorso necessario a innescare effettivamente il miglioramento richiesto.
Per un coach la capacità di dare feedback e suggerimenti è fondamentale. E un buon manager può imparare proprio dal coaching come essere efficace nel fornire valutazioni che hanno lo scopo di apportare un miglioramento nel suo team.
Invece di limitarsi alla valutazione della performance, il manager-coach pone domande che spingono le persone a prendere parte al processo di miglioramento. Chiedere – fino a che punto pensi di aver raggiunto l’obiettivo? Quali aspetti sarebbero potuti essere sviluppati diversamente? ecc. – permette alla persona che ricevere il feedback di mettere in moto il cervello e organizzare le azioni future, in maniera consapevole. E la consapevolezza è requisito fondamentale per l’apprendimento e il miglioramento.
Il feedback sostanzialmente, è efficace quando stimola il feedforward, la pianificazione, come spiega John Whitmore nel suo libro “Coaching”, o come detto precedentemente, parlando di “azione”. Non si ottengono buoni risultati a lungo termine se è il manager a dirti cosa fare in futuro, e come farlo. È molto più efficace, invece, partecipare attivamente al processo, rispondendo alle domande del manager, che generano responsabilità e senso di appartenenza, innescando un cambiamento che porterà a risultati migliori e duraturi.

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