• Arte e Cultura
  • Empowerment
  • Innovazione e Sostenibilità
  • Public Program
  • Lezioni Italiane
  • Argomenti
  • Arte e Cultura
  • Empowerment
  • Innovazione e Sostenibilità
  • Progetti speciali
  • Lezioni Italiane
  • Public Program
  • Centodieci Extra
  • Tipo di contenuto
  • Articoli
  • Video
  • Podcast
  • Webinar
  • Eventi
Immagine principale di: Inclusione sul lavoro, il punto di partenza verso una società equa e matur
Icona
Empowerment

Inclusione sul lavoro, il punto di partenza verso una società equa e matura

Claudio Gagliardini
Di Claudio Gagliardini
Nato a Roma nel 1970, manca per pochi decenni la natività digitale, ma recupera con insospettabile freschezza alla fine degli anni ‘90 dopo numerose esperienze in ambito turistico-ricettivo, in giro per l’Italia. Il demone del web s’insinua in lui agli esordi della Rete nel Bel Paese, fino a diventare una professione, con l’avvento dei media sociali e del web 2.0, che integra l’impegno sino a quel momento speso in comunicazione e marketing per-digitali. Oggi è consulente, formatore e relatore in marketing e comunicazione, con particolare specializzazione sui social media e sulle opportunità offerte dalla Rete. Socio e co-fondatore di seidigitale.com [...]
Scopri di più
Pubblicato il 03.02.2022 alle 9:00

Quello dell’inclusione è un tema delicato e ciclopico, che deve essere affrontato a partire da un’importante consapevolezza: il verbo che stiamo usando per descrivere questo fondamentale tassello evolutivo della nostra civiltà è inappropriato e quasi sempre lo è anche l’approccio.

Includere, nel senso in cui dovrebbe essere inteso, non dovrebbe infatti significare concedere l’accesso o la partecipazione a chi in precedenza era escluso. Questa condizione è il mero effetto di una mentalità discriminatoria, non la sua causa, e lavorare sugli effetti non consente di risolvere i problemi, ma soltanto di mitigarne le conseguenze.

Per risalire alla causa, ovvero al motivo per cui la nostra società è ancora oggi poco o per niente inclusiva, bisogna rimuovere gli schermi di ipocrisia dietro i quali ci siamo sempre nascosti e far posto alla cruda essenza dei fatti: escludiamo per ignoranza, per mancanza di informazioni e di conoscenza e perché non siamo in grado di comprendere che non esiste uno spettro all’interno del quale si può essere considerati normali o normodotati, ma un infinito caleidoscopio di persone, tutte diverse tra loro, che hanno pari dignità e valore. Un valore che può emergere e realizzarsi soltanto se l’organizzazione della nostra società non mette limiti, paletti e ostacoli al di fuori di tale spettro, che è del tutto arbitrario.

Oltre a questo dobbiamo considerare che nessuna civiltà può evolvere davvero se non comprende l’importanza di tutte le persone che la compongono e non garantisce pari dignità e opportunità a tutte le diversità e all’unicità di ognuno, riconoscendone il valore e consentendo che esso si esprima e si realizzi pienamente, ciascuno secondo le proprie possibilità, caratteristiche, condizioni e inclinazioni.

Quando eravamo bambini questo concetto ci era spudoratamente chiaro; ogni volta che si facevano le squadre per giocare a qualsiasi cosa, i due capitani sceglievano i compagni in funzione della loro abilità (già nota o presunta che fosse) lasciando per ultime le schiappe, i grassoni, quelli troppo magri e deboli da non finire in terra ogni minuto e quelli che parenti o maestre imponevano di far giocare. 

È questo che facevano i ragazzini fino all’avvento dell’era del politically correct, e non se ne vergognavano affatto. Oggi qualcuno giustamente li rimprovera pesantemente quando usano certe espressioni e fanno determinati ragionamenti, ma loro le idee le hanno chiarissime: se le persone più e meno abili sono divise equamente e se sono messe nella condizione di giocare al meglio, allora si può lottare alla pari e vincere. Poi magari capita pure che il magrolino di turno non soltanto non cada ogni due per tre, ma la metta anche dentro o che quello grassoccio e insospettabile faccia dei tiri micidiali, ma sia come sia la sostanza resta la stessa: includere significa riconoscere senza ipocrisia le abilità e i limiti di ciascuno, permettendo a tutti di mettersi in gioco e di fare la propria parte. Aggiungendo valore al gruppo, non limitandolo.

Includere davvero vuol dire riconoscere l’importanza di ogni diversità all’interno di un tutto in cui ciascun tassello è altrettanto fondamentale e sinergico. Per farlo non bastano leggi, regole, quote o incentivi, ma occorre sgomberare il campo da un gravissimo errore: includere non significa offrire un’opportunità a chi con le proprie forze e capacità non sarebbe in grado di ottenerla, ma riconoscere che ciascuno può dare il proprio contributo e che l’unione delle differenti abilità di ciascuno non rallenta né ostacola né zavorra il gruppo, ma lo rende più forte e compatto, più consapevole e più capace di affrontare qualsiasi sfida.

Una civiltà matura non si fonda infatti sulla tutela della fragilità, ma nasce dal rifiuto di idee e definizioni fuorvianti e menzognere. Siamo tutti diversi, tutti fragili, tutti altrettanto bisognosi di un contesto in cui esprimere noi stessi per quello che possiamo, ma per fare questo dobbiamo ripensare il nostro modello sociale e trasformare l’antica piramide sociale in una nuova e più potente forma: non più statica, non più divisiva, non più discriminatoria.
Le aziende che stanno percorrendo questa strada nel modo giusto si sono sbarazzate di definizioni come inclusione o categoria protetta, ma hanno invece riconsiderato i loro spazi, i loro strumenti, i processi, le modalità, le tempistiche e gli orari di lavoro divenendo accessibili e inclusive by design, prive di barriere non soltanto nell’architettura degli uffici e degli spazi, ma prima di tutto nella loro visione, concezione e organizzazione, che ovviamente ne hanno beneficiato.

Condividi questo articolo

Leggi anche

Leggi tutti gli articoli
  • Icona
    Empowerment
    08.06.2017

    Ma il "segreto del successo" esiste davvero?

    Leggi l'articolo
  • Icona
    Empowerment
    02.08.2017

    Perché imparare a fare da sé è (ormai) questione di sopravvivenza

    Leggi l'articolo
  • Icona
    Empowerment
    26.10.2015

    Vita d’ufficio, con l’intranet collaborativa lavorare diventa social

    Leggi l'articolo
  • Icona
    Empowerment
    26.01.2018

    “Cosa ti manca della Sicilia?” “U scrusciu du mari”

    Leggi l'articolo

Tutti i consigli utili per innovare con lode

Iscriviti alla nostra newsletter

al trattamento di dati per la finalità dell’attività di marketing di vario tipo, inclusa la promozione di prodotti, servizi, distribuzione di materiale a carattere informativo, pubblicitario e promozionale, eventi, invio di newsletter e pubblicazioni come indicato nell’informativa.

© Centodieci 2025
| Privacy Policy & Cookie Policy | Feed RSS|Sitemap HTML|Dichiarazioni di accessibilità| A+ A-