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Empowerment

La dimensione sociale dell’azienda: un cambiamento culturale che non riguarda solo le competenze lavorative

Roberto Panzarani
Di Roberto Panzarani
Presidente dello Studio Panzarani & Associates, docente di Innovation Management e di Governo dell’innovazione tecnologia presso la facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Ha sempre operato nel campo della formazione. Attualmente,  come esperto di Business Innovation, si occupa dello sviluppo di programmi di innovazione manageriale per il top management delle principali organizzazioni italiane e internazionali. Il suo nuovo libro “Viaggio nell’innovazione Dentro gli ecosistemi del cambiamento globale” è edito Guerini e per Centodieci racconta come facilitare quei cambiamenti interni alle aziende in grado di creare nuove occasioni di business.
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Pubblicato il 06.07.2015 alle 8:33

Come dicono gli psicoanalisti Miguel Benasayag e Gerard Schmit, nel libro L’epoca delle passioni tristi, le nostre società vivono attualmente un palese deficit di pensiero e di senso, che però non autorizza ad accusare la scienza o la tecnica di rubare o di monopolizzare questo pensiero e questo senso. Bisogna piuttosto sviluppare luoghi e pratiche che consentono di colmare quel vuoto e accompagnare lo sviluppo della tecnica e della scienza.

Humanity. La conquista sociale dell’impresa è il titolo del mio nuovo libro con il quale si conclude una trilogia che ho voluto dedicare al tema della collaboration e che ha visto le Edizioni Palinsesto accompagnarmi nella pubblicazione anche dei due primi saggi, Innovazione e Business Collaboration nell’era della globalizzazione e Sense of Community e Innovazione Sociale nell’era dell’interconnessione.

Si evolve non solo grazie alla competizione individuale ma anche all’adozione di comportamenti sociali e cooperativi

Mi sono lasciato ispirare dalla lettura di La conquista sociale della terra di Edward Wilson, in cui il famoso biologo illustra lo sviluppo dell’Homo Sapiens dallo stadio iniziale alle più importanti conquiste creative, mostrando come, dagli insetti sociali all’uomo, l’evoluzione non sia stata sospinta solo dall’egoismo genetico e dalla competizione individuale, ma anche dallo sviluppo di comportamenti sociali e cooperativi sempre più elaborati all’interno dei gruppi.

Non è facile riuscire ad avere una “testa ben fatta”, come ci ricorda Michel Serres citando Montaigne, spesso è piena ma non riesce a organizzare le conoscenze in modo che siano realmente utili  a capire la realtà che ci circonda e la velocità esponenziale con cui i cambiamenti stanno avvenendo, così ci costringe a ricombinare le nostre sinapsi neuronali in modo completamente nuovo. Abbiamo dunque una testa “ben piena”, non “ben fatta”.

Il divario tra globalizzazione della conoscenza e conoscenza della globalizzazione è sempre maggiore

Arjun Appadurai afferma che il mondo in cui viviamo è caratterizzato da un crescente divario tra la globalizzazione della conoscenza e la conoscenza della globalizzazione. La sfida che dobbiamo affrontare è quella di sposare un progetto di governance globale capace di mediare la velocità del capitale, il potere degli stati e la natura profondamente locale delle democrazie effettivamente esistenti. E una delle vie per affrontare questo cambiamento è la collaboration. Una volta era all’interno del proprio gruppo familiare o di lavoro in cui avveniva la condivisione delle idee, adesso stiamo vivendo una rivoluzione che plasma la società del futuro e siamo chiamati a uno sforzo creativo per descrivere un nuovo contesto sociale a causa dell’incertezza nata per le grandi mutazioni in atto.

Nei paesi maggiormente industrializzati il lavoro si sta modificando nei tempi e nelle modalità di svolgimento. Sull’evoluzione del lavoro molto viene detto, sicuramente è vero che attualmente sopravvive solo chi è capace di cambiare e di adattarsi. Non c’è organizzazione che non sia alla ricerca di strumenti atti a integrare al meglio gli obiettivi individuali con quelli aziendali. Le trasformazioni radicali che toccano il mondo del lavoro in ogni suo aspetto, inevitabilmente spingono le direzioni del personale ad ampliare la loro concezione di lavoro verso nuovi orizzonti. Alla base dello smart working ci sono orari flessibili, una migliore e più efficace comunicazione e collaborazione in azienda, anche grazie all’utilizzo di device digitali, che danno una maggiore libertà e rendono più responsabili i lavoratori nel raggiungere gli obiettivi. L’azienda che adotta un modello smart dunque adotterà questi cambiamenti anche in funzione di una riorganizzazione degli spazi, creando aree destinate alla collaborazione, open space, aree di relax… luoghi, insomma, dove le persone amano lavorare.

Nei paesi maggiormente industrializzati il lavoro si sta modificando nei tempi e nelle modalità di svolgimento. Grazie agli strumenti resi fruibili dalla rivoluzione digitale, le pratiche lavorative sono molto più simili a quelle di aziende innovative come Google, anche in quei settori che apparentemente non hanno nulla in comune con la creatività. Su diversi articoli si legge che i ragazzi di oggi faranno un mestiere che non è stato ancora inventato. È necessario dunque cambiare il modo di affrontare i problemi e di risolverli. In questo contesto gli uomini non devono arrendersi, piuttosto puntare su immaginazione, creatività, intuito per andare lì dove l’intelligenza artificiale non può arrivare.

Non sappiamo se nuove forme di comunità sostituiranno l’attuale forma socio-economica, ma – come spiego anche in questa intervista su Rai Economia – dal punto di vista del modello sociale dobbiamo completamente ridisegnare la scala dei nostri valori in termini diversi da quelli attuali.

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