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Empowerment

Cos'è la legge di Moore, e perché oggi ha cessato di essere valida

Massimo Temporelli
Di Massimo Temporelli
Laureatosi in Fisica all’Università di Milano, Massimo Temporelli ottiene nel 2000 una borsa di studio presso l’azienda ST Microelectronics, leader mondiale nel settore dei microchip, con la quale sviluppa i percorsi scientifici dei laboratori del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano. La sua attività gli vale, nel 2003, la nomina a curatore responsabile del Dipartimento Comunicazione. Dal 2010 lavora come libero professionista alla realizzazione di mostre temporanee e permanenti, eventi culturali ed editoria. Innovazione, tecnologia, comunicazione e FabLab sono i temi più presenti nella sua ricerca e nel suo lavoro. Su questi temi dirige la collana [...]
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Pubblicato il 26.01.2017 alle 14:30

Sta per chiudersi l’epoca di un vero e proprio mito dell’IT, una pietra miliare appoggiata con incredibile lungimiranza da uno scienziato americano sulla strada maestra della storia dell’informatica più di 50 anni fa. Non parliamo di una tecnologia, di un hardware o di un software, ma di una legge, anzi de LA legge, quella che ha guidato e caratterizzato le aziende, gli sviluppatori e gli utenti (noi tutti) di molti, moltissimi device tecnologici degli ultimi cinquant’anni, come personal computer, smartphone e tablet, ma anche automobili, lavatrici e forni.
Tra pochi anni, dopo più di mezzo secolo di la famosa “legge di Moore” andrà in pensione.
A breve questa storica legge non avrà più validità e il paradigma dell’informatica, ma anche della nostra società, che si fonda sulle informazioni, cambierà per sempre.
In questo articolo andremo alla scoperta di questa legge e del suo enunciatore ma sopratutto proveremo a immaginare quali nuovi paradigmi la sostituiranno.
 

Una legge ineluttabile della tecnologia non è più utile: qual è il futuro dei microprocessori?

 
Era la primavera del 1965 quando un giovane chimico, Gordon Moore, direttore del centro di ricerca e sviluppo della neonata Fairchild Semiconductor, veniva intervistato dalla rivista “Electronics Magazine”. Tra le tante domande, a Moore venne chiesto, come spesso capita a chi si occupa di tecnologia, di immaginare il futuro del settore industriale in cui operava, ovvero quello delle nuove tecnologie dei circuiti integrati. Sono quelle domande che, spesso, non si prendono sul serio o che permettono agli intervistati di sparare previsioni personali. Ma Moore prese la domanda molto sul serio (o forse aveva già la risposta pronta per studi che stava facendo), fatto sta che diede una risposta scientifica, dicendo che il numero dei transistor, delle resistenze e dei condensatori nei circuiti integrati (indice della potenza del circuito integrato) sarebbe duplicato ogni anno, mentre il costo sarebbe sceso nello stesso periodo del 50%. Moore revisionò la sua legge qualche anno dopo, ponendo gli step evolutivi ogni 18 mesi e non ogni anno, ma la sua previsione rimase una previsione di tipo lineare a derivata positiva per la potenza di calcolo e negativa per il costo. Quella che poteva sembrare solo una tra le tante visioni, lentamente divenne confermata dai numeri una vera e propria legge scientifica: ogni 18 mesi, i circuiti integrati (dal 1970 anche i microprocessori) che fossero americani, giapponesi o europei seguivano la legge del chimico americano. Per questo motivo nel tempo, cioè dal primo PC (1976) fino ad oggi (2017) i computer sono sempre più potenti e tendenzialmente costano sempre meno, a parità di segmento di mercato. Se si guarda il grafico è impressionante notare quanto poco sia lo scostamento per le performance di ogni microprocessore uscito sul mercato.
Con questa visone, nei primi anni Settanta, Moore lasciò l’azienda in cui lavorava e fu tra i fondatori dell’Intel, azienda che come sappiamo ha prosperato e prospera nel mercato dei circuiti integrati e dei microprocessori. In fondo Moore, da chimico, aveva capito che i transistor (mattoni base dell’informatica), sfruttando le proprietà del silicio, potevano essere prodotti sempre con dimensioni dimezzate rispetto alla generazione precedente. Questo permetteva di farne stare il doppio nella stessa dimensione, aumentando le performance dei vari circuiti proposti sul mercato ogni 18 mesi. La miniaturizzazione era il tema centrale della sua politica di sviluppo industriale. Ecco, siamo arrivati al punto e alla conclusione della fortuna di questa storica legge. Ogni generazione le dimensioni dei transistor, rimpicciolendosi, si avvicinano a un limite invalicabile. E così, di decennio in decennio, abbiamo raggiunto la meta oltre la quale nessun discorso lineare è più possibile: dieci alla meno tre (millimetri), dieci alla meno 6 (micrometri), dieci alla meno nove (nanometri). Oggi i singoli transistor dentro ai circuiti integrati in silicio hanno le dimensioni dei nanometri, dimensione sotto la quale i fenomeni che governano la fisica della materia passano da un comportamento classico e lineare ad uno quantistico e probabilistico. Fine dei giochi, fine della legge di Moore.
So what? Sicuramente l’informatica non potrà fermare la sua corsa, ma è certo che non potrà più basare il suo modello di business e di sostenibilità sulla linearità della legge di Moore. Le strade oggi sono due e a grandi linee possono essere riassunte così: dirigere lo sguardo verso il mondo cloud e il calcolo parallelo, delegando la potenza di calcolo a più microprocessori non presenti nel device che teniamo tra le mani, oppure, gettarsi nel mondo complesso ma affascinante della meccanica quantistica e iniziare a costruire i così detti computer quantistici. Scelte difficile per le quali servirebbe un nuovo Gordon Moore in grado di indicarci la strada.

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