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Empowerment

Verso una cultura aziendale che si preoccupi del benessere (fisico e mentale) dei lavoratori

Luciano Canova
Di Luciano Canova
Economista e divulgatore scientifico. Ha preso un dottorato lavorando sui temi della multidimensionalità del benessere in economia e ha pubblicato con Mondadori il volume “Il metro della felicità”. Ora insegna economia comportamentale alla Scuola Enrico Mattei e fa divulgazione economica per gli Stati Generali e con il podcast Favolosa Economia di Storielibere.fm. In Centodieci racconta le evidenze principali delle scienze comportamentali concernenti i temi della motivazione e della felicità al lavoro.  
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Pubblicato il 25.10.2017 alle 13:32

 
Il tema della corporate wellness è al centro del dibattito della responsabilità sociale, che vede contrapposti gli entusiasti e gli scettici, tra chi sostiene che il gioco non valga la candela e chi, invece, sottolinea i rendimenti di lungo periodo di programmi che sviluppino il benessere del lavoratore.
Forse la chiave di tutto sta proprio nell’origine della citazione latina, che arriva dal poeta Giovenale, il quale aveva dato un’accezione alla frase leggermente diversa da quella prevalsa nel tempo. Mens sana in corpore sano non significa, infatti, nelle intenzioni originali del poeta, che solo chi ha un fisico sano possa sviluppare anche le virtù dell’anima. Giovenale invocava più che altro gli dei affinché offrissero alle persone l’uno (un corpo vigoroso) e l’altra (un’anima illuminata), con l’idea però che le due componenti andassero innaffiate insieme e si completassero a vicenda.
Con armonia.
Noi, che siamo umili e non necessariamente puntiamo agli dei, guardiamo ai mantra delle aziende di oggi, che fanno del benessere e della salute dei lavoratori, più che giustamente, un pilastro della loro crescita.
Tuttavia, come per Giovenale, le cose vanno fatte bene e senza un approccio troppo rigido, il che significa che i programmi di wellness possono rivelarsi totalmente inefficaci se non progettati in modo efficace e misurabile. Troppo spesso, infatti, ci si concentra sulle conseguenze desiderate in termini di riduzione dei costi, legati a una migliore salute e a un minore assenteismo del dipendente.
Per carità, splendide notizie, non sia mai, ma lo sguardo dell’imprenditore dev’essere più vasto e complesso.
Senz’altro i programmi di wellness hanno ricadute positive in termini monetari, proprio in virtù di una riduzione dei costi associati alle malattie, ma un’impresa deve guardare al benessere dei suoi lavoratori, e alla sua monetizzazione, come a qualcosa di multidimensionale.
In positivo, ciò significa che lo stare bene si traduce in un migliore clima lavorativo e in una maggiore soddisfazione che, a loro volta, possono aumentare la produttività dell’azienda.
C’è uno studio embrionale che, seppure svolto su un campione piccolo di lavoratori, offre evidenza in tal senso, ma anche diverse indagini della Gallup confermano l’importanza della motivazione e del benessere soggettivo, che possono essere sostenuti adeguatamente dai programmi corporate di wellness.
Con una parola sulla bocca di tutti, conta moltissimo l’ingaggio di chi lavora, il che ancora una volta ci porta a sottolineare l’importanza di un design misurabile e rigoroso di questi programmi: lo sguardo dell’imprenditore e le ricadute dei programmi possono e devono essere di lungo periodo, il che significa lavorare molto di creatività e trasparenza, in primis, per informare in modo efficace i lavoratori delle iniziative intraprese, delle loro finalità, e per garantire che, col tempo, aumenti l’identificazione della persona con la cultura aziendale.
Non bisogna per forza puntare a cambiare lo stile di vita dei lavoratori, anche perché la vita di questi ultimi, fortunatamente, continua e sempre più si svolge fuori da un unico ufficio. Tuttavia, è importante notare come i programmi di wellness possano rivelarsi fondamentali nel gestire malattie croniche quali l’obesità, la depressione, i problemi cardiaci. E come essi possano spingere gentilmente chi lavora a sentirsi centro della vita aziendale attraverso una maggiore consapevolezza dei regimi di vita sani.
Un bel pezzo di lavoro spetta alla comunicazione di questi programmi che, appunto, non deve apparire come una forzatura o un’imposizione, ma come l’espressione semplice della cultura aziendale: questo significa, come ama dire Alessandro Rimassa, che il CEO e la leadership dev’essere concentrata non soltanto sul ROI, ma sul ROF, quel return on future che nasce da una visione piena del benessere aziendale.

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