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Empowerment

Non interrompermi. Come difendersi dalle interruzioni per migliorare il nostro lavoro

Antonio Belloni
Di Antonio Belloni
Antonio Belloni è nato nel 1979. Vive e lavora a Milano, dove si occupa di strategie di comunicazione e marketing. Scrive di impresa e Made in Italy su diverse testate nazionali. Nel 2012 ha pubblicato Esportare l’Italia. Virtù o necessità? per Guerini e Associati Editori e nel 2014 Food Economy, l’Italia e le strade infinite del cibo tra società e consumi per Marsilio Editori.
Scopri di più
Pubblicato il 16.09.2021 alle 11:00

Difendersi dalle interruzioni è possibile e migliora la qualità del nostro lavoro.

Ma è dannatamente complicato, perché siamo molto più abituati e propensi a lasciarci interrompere che a proteggere la profondità del nostro lavoro.

INTERRUZIONI FALSE AMICHE

Sappiamo bene che la nostra giornata di lavoro è piena di interruzioni, ma non siamo quasi mai pronti a difenderci.

Il motivo è che non le consideriamo quasi mai dannose. 

Le interruzioni sono false amiche.

Sono infatti eventi imprevisti, quasi sempre messi in atto da altri, apparentemente innocui, ma concretamente dannosi.

Per valutarne il danno va considerato che un’interruzione è la sospensione di un’azione in cui noi siamo impegnati.

Quindi può avere effetti deleteri sulla qualità, il tempo e lo sforzo che impieghiamo per portarla a termine.

Ogni interruzione, fatta da amici e colleghi o da estranei, benché in buona fede, e perfino se portatori di messaggi positivi, ha comunque un effetto estensivo sul nostro tempo destinato a concluderla.

Ha poi un effetto sulla quantità di concetti che il nostro cervello sta elaborando, semplicemente perché aumenta la dose di informazioni da processare.

E questo ha un evidente portata di stress, che riduce la nostra produttività e la concentrazione.

ALLA LARGA DAL MULTITASKING

Viene quindi naturale chiederci se tutte le persone, noi compresi, che vediamo saltare da una-riunione-a-una-mail-a-un-sms-all’altro con leggerezza e nonchalance, stiano effettivamente facendo un buon lavoro.

Il primo mito che le interruzioni sfatano è il multitasking.

Un’abitudine da cui è meglio stare lontani e che purtroppo è favorita dallo sviluppo e dalla diffusione di app e strumenti tecnologici di informazione.

Le interruzioni sono infatti un tipo di intervallo non voluto (mentre le pause lo sono); ma molti pensano che passare da un dossier all’altro sia una qualità, e quindi non le rifiutano ma addirittura le accettano.

Da diversi studi, reperibili nel webinar dell’Information Overload Day del 2020, però risulta che:

  • controlliamo la casella mail 74 volte al giorno;
  • siamo interrotti circa ogni 10 minuti;
  • il 56% delle volte da fonti esterne e il restante da fonti interne.

Nello stesso report viene poi segnalato (via Economist) che già solo dai social media arriva un’interruzione ogni 11 minuti.

Va poi detto che dopo ogni singola distrazione, che corrisponde a un blocco del (ritmo) del lavoro, segue invece un’accelerazione, in cui la velocità necessariamente aumenta. 

EVVIVA IL LAVORO PROFONDO

La turbolenza di un ritmo così sincopato e la distrazione quanto influiscono sul nostro lavoro?

Dipende anche da come ne valutiamo la qualità.

Nel libro Deep Work di Cal Newport (Rules for focused success in a distracted world, Grand Central Publishing, 2016) appaiono molto evidenti le ragioni per cui la concentrazione, la focalizzazione, l’intensità dell’impegno che si ottiene lavorando senza distrazioni, portano a una qualità del lavoro molto elevata.

Risultati indiscutibilmente buoni si ottengono quindi con la concentrazione – senza interruzioni – applicata per tempi frequenti. 

Quindi evviva il lavoro profondo!

Essere focalizzati e fare una cosa per volta amplifica le possibilità di successo, e fa risparmiare tempo ed energie.

LAVORO SUPERFICIALE

Nello stesso libro si trovano poi le ragioni per cui è bene concentrarsi proprio su una cosa per volta.

L’essere impegnati (busy!) è infatti un secondo mito da sfatare, anche perché è spesso un sinonimo di lavoro superficiale.

Lavorare a pezzi, magari tenendo aperte infinite app sulla barra degli strumenti, non consente di raggiungere una concentrazione elevata. 

E ci appesantisce con quella che proprio Cal Newport chiama attenzione residuale.

Quella piccola dose di concentrazione sul dossier precedente, che inevitabilmente trasferiamo nel dossier successivo.

Considerati gli ultimi mesi passati a casa, va anche considerato che non tutte le interruzioni arrivano da colleghi, clienti, superiori, partner…

…ci sono le mogli, i mariti, i figli, la tata, il delivery che suona al citofono, il Wi-Fi che salta e le commissioni improvvise.

Ma da cosa ci si può effettivamente difendere? E come?

METODO

Come faccio a dire al mio capo che se pretende che risponda alle mail nel momento esatto in cui le manda, non riesco a concentrarmi e fare un buon lavoro?

In effetti, all’automatica replica “impegnati e ce la farai ugualmente”, c’è una risposta razionale.

È provato che per ogni interruzione c’è un cosiddetto tempo di recupero.

È il tempo che ci serve per tornare a concentrarci sulla cosa da cui siamo stati distolti.

E la notizia per il nostro capo quale sarebbe?

Quasi sempre questo tempo è più lungo di quello dell’interruzione stessa.

Interruzioni anche brevissime – dai 30 secondi ai 5 minuti – possono avere un tempo di recupero di 10 o 15 minuti.

Sommate, possono far capire a chi guida l’azienda quanto tempo perso possa essere accumulato a fine giornata e pesato sul bilancio mensile.

Potremmo bene usare questa risposta razionale ogni volta che dobbiamo preparare un business plan, un report, un progetto impegnativo, mentre siamo costretti a rispondere a qualsiasi sollecitazione.

Se allora c’è un piccolo metodo per fuggire dalle interruzioni e puntare al lavoro profondo, è proprio quello di mettere un confine alto e ben protetto intorno a quei momenti sacri in cui nessuno ci può disturbare.

Momenti privi di notifiche app, social media, di telefonate e-mail, a cui si possono benissimo destinare dei precisi tempi della giornata (ad es. ogni due ore, anche se ci sembrano già tantissime) per lavorare intensamente in ogni situazione.

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