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Empowerment

Calore umano e competenza: ecco i parametri secondo cui giudichiamo gli altri

Luciano Canova
Di Luciano Canova
Economista e divulgatore scientifico. Ha preso un dottorato lavorando sui temi della multidimensionalità del benessere in economia e ha pubblicato con Mondadori il volume “Il metro della felicità”. Ora insegna economia comportamentale alla Scuola Enrico Mattei e fa divulgazione economica per gli Stati Generali e con il podcast Favolosa Economia di Storielibere.fm. In Centodieci racconta le evidenze principali delle scienze comportamentali concernenti i temi della motivazione e della felicità al lavoro.  
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Pubblicato il 22.02.2017 alle 14:30

C’è qualcosa di bellissimo nell’evoluzione: avete mai pensato che i colori dei frutti non sono del tutto casuali? Una bella mela rossa che si staglia su un mare di verde, acuendo il contrasto e rendendo il frutto più evidente. È un bel compromesso tra una pianta che desidera spargere i propri semi il più possibile e gli esseri umani alla ricerca di un frutto maturo per sopravvivere. E la cosa non è troppo diversa, oggi, con i supermarket che sfruttano, anch’essi, colori abbaglianti per i prodotti negli scaffali eye contact, catturando immediatamente la nostra attenzione.
Ecco, l’attenzione: un bene scarso e che, tuttavia, ci rende speciali. Non sarebbe male tenerne conto anche nei nostri ambienti di lavoro.
Sì, perché, che lo vogliamo o no, il nostro cervello è ancora legato a un vecchio (vecchissimo) modo di formulare giudizi: sulle cose, sulle idee e anche sulle persone. E il contesto, come abbiamo visto in apertura, è maledettamente importante nell’influenzarci. In pochi secondi, dobbiamo elaborare una serie di stimoli e informazioni per valutare se comprare o meno quei nuovi biscotti, per decidere se ne vale la pena o meno. E, di nuovo, che ci piaccia o meno, anche per formulare sulle persone un giudizio istantaneo che, in qualche modo, può durare nel tempo.
Avete mai pensato a come vi fate un’idea su chi avete di fronte? Sicuramente conta l’esperienza e la frequentazione, ma c’è sempre una prima impressione. E quella prima impressione ha un peso.
In letteratura, l’autorità in materia di social cognition è Susan Fiske, psicologa dell’Università di Princeton, che ha dedicato una vita a studiare come le persone categorizzano, in pochi istanti, le cose ma, appunto, anche gli altri esseri umani, fondamentalmente sulla base di due dimensioni rilevanti:
– il calore umano
– la competenza
Una specie di segnale binario accende o spegne l’interruttore ‘emozione positiva’ vs. ‘emozione negativa’, per poi farci passare alla valutazione delle competenze, sommaria anch’essa in prima battuta.
Se vediamo un’anziana signora per strada, è probabile che la classificazione propenda per ‘emozione positiva’ ma, forse, bassa competenza. L’intuizione ci guida a non considerarla come minaccia e, potenzialmente, ad aiutarla. Se ci troviamo di fronte a un senzatetto, magari con un cartone di vino in mano, invece, di nuovo può scattare il giudizio ‘bassa competenza’, accompagnato da una reazione emotiva meno accogliente.
Questi, è bene ripeterlo, sono giudizi intuitivi e quasi istantanei, ma che possono produrre conseguenze durature.
E la cosa si applica anche ai colleghi di ufficio. La Fiske ha condotto un esperimento in cui, senza mostrare necessariamente che calore umano e competenza si escludono a vicenda, pure le persone adottano strategie miste in funzione degli obiettivi che hanno: se una persona vuole apparire come calorosa e accogliente abbassa i propri segnali di competenza e, viceversa, li alza al massimo se quello è lo scopo (per esempio durante un colloquio di lavoro?).
In generale questo clima umano può avere conseguenze sull’instaurarsi di un rapporto più collaborativo o più competitivo.
Il clima sociale in un ufficio è importantissimo, un po’ come la marea verde dell’inizio: in un contesto dove tutti spingono al massimo sui segnali di competenza, umanamente ci si potrebbe sentire non nel posto ideale, il che porta a percepire gli altri come ostili e, di conseguenza, attiva un comportamento meno ispirato al lavorare in team. Viceversa, invece, un ambiente positivo e accogliente, in cui tutti rinunciano un po’ a segnalare le loro competenze, potrebbe essere il modo migliore per stimolare la cooperazione e, magari, anche una produttività di team più alta.

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