Soffrire di Sindrome dell’impostore vuol dire essere convinti di non essere bravi nel proprio lavoro. Implica la certezza di non essere abbastanza preparati, di aver ottenuto ciò che si è ottenuto grazie a una combinazione di circostanze anziché al proprio impegno e talento. Significa, soprattutto, vivere nel timore che si “verrà scoperti”. Proprio per questo è essenziale ricordare che le parole che diciamo a noi stessi e agli altri danno attivamente forma alla nostra visione della realtà (e della nostra identità) e sono reali nelle loro conseguenze.
Ecco 3 risposte da evitare a ogni costo per iniziare a sentirsi meglio.
- “Sono fortunato”
Non sei fortunato! Sei bravo a fare quel che fai. Se hai ottenuto riconoscimenti, se la gente ti fa complimenti e ti ripete che sei un punto di riferimento non è una coincidenza, non è frutto del caso. Sei TU ad aver generato il tuo successo. Nessun altro. - “È che ci so fare con la gente”
Sarà anche vero, perché le soft skill contano; ma è sicuro che non ce l’avresti mai fatta se non avessi anche avuto autentiche competenze, le cosiddette hard skill. Non è che sei simpatico: è che hai talento. - “Ho avuto tantissimo aiuto”
È cosa ottima riconoscere il lavoro di team e l’importanza che gli altri giocano nella nostra crescita, ma non è tutto. Se un grande risultato è stato ottenuto è perché ci siamo dati da fare, perché abbiamo fatto sì che determinate cose accadessero, tessendo scenari futuri e ragionando strategicamente. Nel 99% dei casi se abbiamo avuto tanto aiuto è perché l’abbiamo meritato in un modo o nell’altro.
Adesso, forza: tieni traccia dei tuoi successi, smetti di paragonarti agli altri e non temere di esporti.
Sei bravo nel tuo lavoro: no, non sei un impostore.