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Innovazione e Sostenibilità

Case green, cosa c’è da sapere sulla direttiva europea che agita proprietari e governo

Simone Cosimi
Di Simone Cosimi
Simone Cosimi è giornalista professionista, collabora con numerose testate nazionali fra cui Italian Tech, La Repubblica, D, DLui, Wired, VanityFair.it, Esquire, StartupItalia, Oggi e Radiotelevisione Svizzera. Segue diversi ambiti fra cui tecnologia, innovazione, cultura, politica, esteri e territori di confine, spingendo verso un approccio multidisciplinare. Già redattore del mensile culturale Inside Art, per cui ha curato cataloghi d’arte e pubblicazioni come il trimestrale Sofà, ha lavorato in passato, fra gli altri, per Rockstar, DNews, Excite, Style.it e molte altre testate. Speaker, moderatore e saggista, è autore con Alberto Rossetti di “Nasci, cresci e posta. I social network sono pieni di bambini: [...]
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Pubblicato il 08.02.2023 alle 10:28

La bozza, al primo voto il 9 febbraio, prevede il passaggio di tutti gli edifici residenziali alla classe E entro il 2030 e alla D entro il 2033. Per gli esperti in Italia bisognerebbe intervenire su due abitazioni su tre

In Italia, secondo l’ultimo censimento Istat, ci sono oltre 36 milioni di case, ma solo 25 milioni sono occupate e quindi abitate e vissute come case e, del totale, oltre 19 milioni sono case di proprietà. C’è inoltre da dire che le case costruite in Italia prima del 1945 sono solo il 20% di quello che rappresenta oggi il patrimonio immobiliare del Bel Paese. In questo contesto non stupisce che la tensione sugli effetti della cosiddetta direttiva europea sulle “case green”, in Italia come al Parlamento Europeo che voterà in commissione industria il 9 febbraio, sia molto alta. Nel 2022 la direttiva è rimasta congelata dopo la presentazione del dicembre 2021 da parte della Commissione. Ma la questione si è riaccesa proprio nelle ultime settimane anche in virtù della volontà della Svezia, presidente di turno dell’Unione, che sembrerebbe intenzionata ad approvarla nel semestre a sua guida. Il percorso parrebbe però lungo, come sempre per i provvedimenti comunitari, ma non lunghissimo. 

Vediamo in cosa consiste la direttiva, quanti immobili sarebbero coinvolti nel nostro paese e gli interventi necessari per allinearsi.

Case green: cosa prevede la bozza della Epbd

La bozza della Energy performance of building, che fa parte del pacchetto Fit for 55, prevede che gli edifici residenziali e le unità immobiliari – cioè ville e villette, su cui però il dibattito è aperto – dovranno raggiungere entro il primo gennaio 2030 almeno la classe energetica E. Non basterà, perché il salto sarà doppio: entro il primo gennaio 2033 dovranno infine rientrare almeno nella classe energetica D. Non dovrebbero mancare una serie di eccezioni, come gli immobili di interesse storico (secondo le definizioni dei vari paesi), le chiese o le abitazioni indipendenti sotto i 50 metri quadrati. Ma è certo che la direttiva – che non è un regolamento e dunque lascerebbe un certo margine sulle modalità di approvazione ai singoli paesi – coinvolgerebbe i condomini. Il relatore al Parlamento europeo è l’ecologista verde Ciarán Cuffe: il provvedimento non si limita alla riqualificazione energetica, ma prevede anche una serie di tutele sociali per i proprietari e il possibile impiego del Fondo sociale per il clima e dei finanziamenti del Recovery Fund.

Che cos’è il pacchetto Fit for 55

Un passo indietro: che cos’è la strategia Fit for 55? Si tratta di un pacchetto di misure volte a rivedere e aggiornare le normative comunitarie così da rendere l’Ue climaticamente neutrale entro il 2050. Il passaggio intermedio consiste invece in un taglio delle emissioni dei paesi membri nel loro complesso di almeno il 55% entro il 2030 (rispetto alle soglie del 1990). I nuovi standard richiesti agli edifici già esistenti sono dunque uno dei tasselli di questo percorso. Agli immobili – alla loro impiantistica vetusta, alla loro dispersione energetica e così via – viene attribuito il 40% circa del consumo totale di energia e il 36% delle emissioni di gas serra dell’UE. È evidente che si tratta di un fronte non più procrastinabile. Le unità coinvolte in Italia sono milioni e i costi per effettuare questo doppio salto di classe energetica appaiono davvero elevati. Gli emendamenti presentati a Strasburgo in vista del primo voto del 9 febbraio sono oltre 1.500. Segno che anche altri paesi sono preoccupati delle conseguenze sui propri patrimoni edilizi e, in definitiva, sulla ricchezza dei nuclei famigliari. Anche gli edifici pubblici, con tempi e classi diverse, sono coinvolti nell’”upgrade” energetico.

Quanti immobili sono coinvolti in Italia

Il quadro italiano, di fronte a questa direttiva, è obiettivamente pessimo. Secondo l’Associazione nazionale costruttori edili oltre 9 milioni di edifici residenziali su 12,2 milioni risultano particolarmente inquinanti e avrebbero dunque bisogno di interventi di qualche tipo per scalare le diverse classi, visto che appartengono alla F e alla G, o nella migliore delle ipotesi alla E. Sarebbero invece 3,7 milioni se il salto al 2033 si fermasse alla classe E, senza dunque il passaggio alla D. Sempre per l’Ance gli obiettivi della direttiva sono “eccessivamente stringenti e con tempi troppo brevi” e difficili da centrare considerando una serie di problematiche con cui abbiamo già a che fare, dalle incertezze sui bonus di cui i cittadini fruiscono o potrebbero fruire al blocco dei crediti.

Stando ai dati del ministero delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate delle oltre 57 milioni di unità immobiliari – quindi appartamenti, non edifici – la maggior parte rientra appunto nelle ultime classi energetiche. Alcuni degli interventi necessari per ottenere un obiettivo così forte di efficientamento sono d’altronde gli stessi a cui ci siamo abituati negli ultimi anni col superbonus 110%, che proseguirà con sconti ridotti anche nei prossimi due anni e senz’altro, sotto questo aspetto, aiuterà il percorso di transizione: cappotto termico, sostituzione degli infissi, nuove caldaie a condensazione, pannelli solari, sostituzione dei sistemi di condizionamento e così via. La direttiva impone agli stati membri un sistema di sanzioni per chi non dovesse adeguarsi, sanzioni che andrebbero ad aggiungersi agli effetti delle svalutazioni di mercato per quelli non a norma.

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