Finanza e dati, sostenibilità e basta enfasi sugli esami: cosa chiedono i ragazzi dalla scuola del futuro
Una grande indagine in 150 paesi firmata da The Worlds Largest Lesson con NetApp, Unicef e Unesco chiama studentesse e studenti a esprimere le proprie opinioni e i propri sogni sulla propria formazione. Ecco quello che ne è uscito.
Lo scorso anno le Nazioni Unite hanno ospitato a New York il Transforming Education Summit. Un incontro sulle politiche educative globali reso necessario dalla crisi globale che ancora riguarda l’istruzione: un grande numero di studenti in tutto il mondo non va a scuola e, quando ci va, non impara abbastanza ciò di cui ha bisogno per il futuro. Secondo i dati forniti dall’Unesco sono ancora circa 258 milioni le bambine e i bambini, le ragazze e i ragazzi in tutto il mondo che non hanno accesso all’istruzione. La maggior parte si trova in Africa subsahariana e in Asia meridionale. Inoltre, molti bambini che frequentano la scuola non ricevono un’istruzione di qualità a causa di carenze nell’organizzazione scolastica, nella formazione degli insegnanti, per le condizioni di conflitto e per la generale scarsa disponibilità di risorse educative. Questo ha ovviamente conseguenze negative sull’apprendimento e sul futuro di un pezzo di mondo, ne limita le opportunità di crescita e di sviluppo. Tuttavia ci sono sforzi in corso per migliorare l’accesso all’istruzione e garantire un’istruzione di qualità per tutti, come stabilito nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile.
Nell’ambito del Transforming Education Summit è stato chiesto ai governi di includere i bambini e i giovani nelle loro strategie relative alle politiche educative. Quelli sotto i 18 anni, che rappresentano oltre il 25% della popolazione mondiale e che sono i principali destinatari di queste politiche, raramente vengono consultati per quanto riguarda la loro istruzione. In un paradosso che dev’essere sciolto, per progettare un’istruzione migliore con il diretto coinvolgimento di chi deve fruirne.
L’indagine globale di The Worlds Largest Lesson
Per questo motivo The Worlds Largest Lesson ha collaborato con NetApp, con il supporto di Unicef e della stessa Unesco per dare il via alla global survey of education. Il sondaggio, uno dei più grandi di sempre, ha coinvolto 37mila studenti di 150 paesi, molti dei quali sono stati chiamati a parlare di sé, dei propri sogni e desideri e di ciò che chiedono alla scuola per la prima volta nella loro vita. Il sondaggio ha rivelato una forte richiesta di modernizzazione dei programmi di studio per rispecchiare più fedelmente le realtà, le competenze e le esigenze delle sfide di oggi e soprattutto di quelle che ci aspettano dietro l’angolo.
Il sondaggio, da cui è stato ricavato un report davvero molto istruttivo, è stato progettato per essere svolto dagli studenti come parte di un’attività in classe. Sono state anche realizzate una guida alla discussione e un piano di lezione per fornire ai docenti ulteriore supporto e orientamento nella distribuzione del sondaggio. Per massimizzare la partecipazione, l’indagine è rimasta aperta per sei mesi, da giugno 2022 allo scorso gennaio, con chiusura il 24 di quel mese, Giornata Internazionale dell’Educazione. Svolto in gran parte online, è stato reso disponibile anche in versione offline per coinvolgere studenti delle comunità più difficili da raggiungere che non hanno accesso alle risorse digitali. In questo caso, bambini e ragazzi hanno risposto su carta e una foto delle loro risposte è stata caricata dal loro insegnante.
La situazione attuale: dal coding alla salute mentale, poca attenzione al futuro
Su alcuni fronti, quelli più importanti per il futuro, la situazione è fortemente carente. Il 41% dei ragazzi ha infatti risposto di non essere sufficientemente impegnato sui fronti del coding e in generale della formazione digitale, il 59% non ha ricevuto alcuna nozione in termini di finanza di base e gestione del patrimonio e il 42% non ha appreso a sufficienza negli ambiti della tutela del patrimonio ambientale e della comprensione di culture diverse dalla propria. Male anche nell’analisi dei dati: il 14% non ne ha mai sentito parlare. Non solo: il 44% crede di non aver ricevuto sufficienti indicazioni, o di non averle ricevute del tutto, su come relazionarsi ai propri ed eventuali problemi psicologici. Nel complesso, dopo i lunghi periodi a singhiozzo della pandemia, il 33% ha provato ansia e nervosismo nel rientro a scuola in presenza. D’altronde il Covid-19 ha se possibile approfondito le disuguaglianze educative, aumentando il numero dei bambini nei paesi con basso sviluppo sociale che si sentono in forte ritardo rispetto al programma che dovrebbero seguire.
Il vero scopo della scuola secondo chi la frequenta
Dal punto di vista degli studenti la narrazione dominante secondo cui il motivo principale per cui si va a scuola è per avere una buona carriera non regge più di tanto. O per meglio dire, è troppo stretta. Questo è ancora più sostenuto quando viene chiesto loro perché pensino che gli adulti vogliano che frequentino la scuola senza intoppi (40%). Tuttavia, quando vengono chieste liberamente le loro opinioni sull’autentico scopo della scuola, gli studenti utilizzano un vocabolario più ricco per esprimere idee sul guadagnare abilità per il lavoro e soprattutto per la vita, conoscere e capire il mondo che li circonda e comprendere gli altri. Gli studenti coinvolti nell’indagine chiedono di conseguenza di ridurre l’enfasi sugli esami, i test e i compiti e di trovare modi alternativi per valutare le loro competenze. A livello globale, vogliono collaborare con altri giovani e con gli amici per arricchire la loro istruzione e il funzionamento delle scuole.
I principali talenti che gli studenti ritengono di dover imparare e dimostrare per poter generare davvero un cambiamento nell’assetto scolastico in cui sono immersi sono il coraggio e la determinazione. Gli studenti che vivono in paesi con un basso livello di sviluppo sociale sono più propensi a proporsi per poter migliorare l’istruzione rispetto agli studenti corrispondenti in paesi con un alto livello di progresso sociale. Il 35% degli studenti ha detto di contribuire costantemente a migliorare l’istruzione, tuttavia un numero quasi uguale di studenti non si sente in grado di farlo. Il 20% ha risposto “no, ma vorrei farlo” mentre l’11% ha detto che “nessuno mi ascolterebbe se ci provassi”. Questa sensazione di impotenza suggerisce che le scuole e le amministrazioni che le gestiscono dovrebbero ideare meccanismi più chiari per favorire la partecipazione degli studenti al proprio funzionamento e soprattutto far loro sentire di essere ascoltati. Partire dalle loro priorità – come quelle viste poco sopra sarebbe un primo, importante passo.