Il futuro delle smart cities passa dalla gestione innovativa dei dati e dall’educazione civica digitale
La gestione innovativa dei dati. A che punto siamo?
Accetti i cookie? Leggi l’informativa. La grande battaglia delle informazioni si è risolta in un fastidioso “acconsento” ad ogni apertura di sito. Manca, nei fatti, un reale dibattito su “chi” e “come” dovrà detenere i nostri dati personali e soprattutto “chi”, “come” e “perché” dovrà utilizzarli.
In una logica di smart-city, qualsiasi oggetto e qualsiasi servizio, sarà produttore di dati, e molti di questi dati riguarderanno le nostre vite private (da quando usciamo di casa a che tragitto facciamo per andare a lavoro, a quante volte “mentiamo”, a chi, e che tipo di menzogne diciamo).
Tutti elementi noti, certo, ma per i quali non è ancora stata realizzata una seria e importante campagna di “coinvolgimento” ed “educazione” della cittadinanza.
L’educazione civica digitale: perché ne abbiamo bisogno
Il punto è che, ci piaccia o meno, il mondo ha già iniziato a produrre dati, e quanto più le tecnologie verranno implementate nel mondo “fuori dal web”, tanto più la mole di dati che ci riguardano crescerà in misura esponenziale.
Eppure, a discapito della rilevanza che questo argomento avrà sulla nostra vita sociale e democratica, sono ancora poche le discussioni sul tema fuori dagli ambienti specialistici.
Questa assenza di dibattito, da un lato rischia di condurre ad una passiva accettazione dei regolamenti sovranazionali (siamo sicuri che tutti gli “internauti” abbiano compreso il ruolo dei cookies?) e dall’altro possono invece ridurre in modo significativo lo sviluppo di investimenti tecnologici. Un esempio concreto, al riguardo, è il caso del progetto Quayside di Toronto, sviluppato da Sidewalk (una società appartenente al gruppo di Google), che intendeva trasformare un’area dismessa e poco valorizzata della città in un progetto di vera e propria data-city.
Salutato inizialmente con grade favore, il progetto ha poi trovato notevoli opposizioni soprattutto da coloro che erano preoccupati della gestione dei dati personali.
Opposizioni che poi, in modo diretto o indiretto, hanno condotto allo stop dell’intera operazione.
Questa circostanza, al di là del caso specifico, evidenzia un elemento di aleatorietà che può inficiare notevolmente lo sviluppo di progetti di questo tipo, rendendo l’investimento troppo rischioso, ed indirettamente facendo sì che solo i “giganti” possano decidere di “rischiare” sul tema. Giganti che poi, proprio in virtù delle loro posizioni quasi-monopolistiche, potrebbero incrementare i sospetti dell’opinione pubblica e potenziare posizioni oppositive.
Al di là delle proprie posizioni personali sul chi e sul come debba trattare i nostri dati personali, è evidente che l’assenza di dibattito non agevoli nessuno: né il cittadino, né il governo, né l’investitore privato.
Tra gestione innovativa dei dati ed educazione civica digitale
Sono almeno due i punti su cui il dibattito dovrebbe maggiormente concentrarsi: da un lato una dimensione “tecnico-tecnologica”, che dovrebbe tuttavia assumere un ruolo strumentale, dall’altro invece una dimensione “culturale”.
Su questo tema, infatti, contrariamente a quanto siamo ormai abituati ad affermare, non è la tecnologia a svolgere un ruolo “abilitante”. Ma la cultura.
Alla democrazia spetterebbe infatti il ruolo di stabilire, con precisione, le esigenze di base per rispondere alle quali gli esperti sarebbero chiamati a sviluppare soluzioni adeguate.
E non solo in una visione esclusivamente tecnologica, ma anche in una dimensione “giuridico-amministrativa”.
Ad oggi, infatti, nessuna struttura giuridica parrebbe essere completamente adatta alla gestione dell’enorme patrimonio di dati che verranno prodotti nei prossimi 10 anni.
A coloro che si dichiarano a favore della gestione pubblica, che eviterebbe sicuramente una gestione dei dati finalizzata all’incremento del “profitto”, rispondono coloro che auspicano ad una gestione privata, che eviterebbe scenari distopici e data-dittature di sorta.
A fronte di questo tipo di evidenza, particolare attenzione è stata posta alla blockchain, come elemento che, ponendo alla base della propria natura il principio di decentralizzazione, sembrerebbe quello più adatto dal punto di vista concettuale, ma che comunque non sarebbe esente da criticità di natura tecnica e funzionale.
Il che significa, in breve, che al momento non pare ci siano all’orizzonte né le tecnologie per gestire in modo innovativo i nostri dati personali, né una competenza diffusa tra i cittadini tale da poter permettere a questi ultimi di poter partecipare in modo attivo al dibattito su una delle tematiche che maggiormente influiranno sul nostro sviluppo dei prossimi anni.
Una nuova forma giuridica non solo per i nostri dati
Qui forse si insinua il principale spiraglio innovativo di tutta la vicenda e che potrebbe avere ricadute dirette non solo sulla gestione dei dati delle persone, ma anche nella gestione di altri aspetti della vita democratica che oggi si fondano esclusivamente su elementi di democrazia diretta o di elementi di democrazia rappresentativa.
E questo fa sì che l’importanza di una educazione civica digitale acquisisca ancora maggior valore. Garantendo che tutti i cittadini conoscano in modo adeguato i propri diritti e doveri digitali, infatti, si potrebbe contare su un insieme di conoscenze di base tali da poter anche prevedere una forma di democrazia mista, nella quale le differenti espressioni della nostra società (cittadini, imprenditori privati, politici, tutori della legge) partecipino, ciascuno per propria competenza, alla gestione di asset estremamente delicati e che potrebbe rappresentare un “punto di partenza” per la gestione di tutte quelle categorie di beni per i quali non è ancora stata realmente individuata una dimensione gestionale realmente efficiente (come ad esempio la cultura, l’educazione, la sanità).
Conclusioni
Ponendo come abilitante la riflessione democratica, e di conseguenza, come abilitante la capacità dei cittadini di interpretare correttamente i fenomeni che caratterizzano il presente, si creano le basi per uno sviluppo che riguarda sicuramente uno dei temi più importanti del nostro tempo, ma che può riguardare anche le modalità attraverso le quali oggi interpretiamo l’azione pubblica e l’azione privata.
Un percorso che diviene quanto più urgente tanto più rapidi sono gli avanzamenti tecnologici “potenziali” e “disponibili”.
È innegabile, quindi, l’esigenza di sperimentare nuove forme di coinvolgimento della cittadinanza, attraverso “esperimenti di laboratorio”, ma anche attraverso implementazioni “pilota”, con le quali poter valutare in modo concreto le distorsioni che potrebbero venirsi a creare.
È vero, discorsi di questo tipo possono sembrare superflui in un momento in cui, come questo, il nostro Paese non è ancora del tutto uscito dall’emergenza COVID.
È anche vero, tuttavia, che il 5G abiliterà l’Internet of Things, che a sua volta abiliterà più dati.
E proprio in virtù della grande delicatezza del momento storico che stiamo vivendo, è bene ricordare che “sospendere” un investimento (pubblico, privato, personale, collettivo) è sempre un costo per l’intera collettività.
Quindi meglio definire “prima” le regole, piuttosto che dover agire “in corsa”, generando costi superflui che non possiamo permetterci.