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Immagine principale di: Cambiare l’acqua ai fiori di Valérie Perrin, sull’ottimismo di sapere
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Arte e Cultura

Cambiare l’acqua ai fiori di Valérie Perrin, sull’ottimismo di sapere che niente è perduto

Corinne Corci
Di Corinne Corci
Nata a Milano, è una giornalista praticante. Dopo essersi laureata in Lettere moderne e aver lavorato come correttrice di bozze per Mondadori, ha frequentato la scuola di giornalismo IULM. Collabora con alcune testate tra cui D la Repubblica, Icon e Rivista Studio.
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Pubblicato il 07.08.2020 alle 7:24

Violette Toussaint è la guardiana della vita e della morte degli altri, ma non riesce a esserlo della propria. Vive ascoltando le voci della gente, probabilmente per evitare di sentire i tormenti della sua vita, che cela un segreto che scopriremo solo dopo la comparsa di un poliziotto marsigliese, deciso a trovare la tomba di un famoso avvocato, Gabriel Prudent, vicino al quale sua madre ha chiesto di essere sepolta, senza fornire ulteriori indicazioni. Da quel momento si cambia registro: all’apparente leggerezza si sostituisce la drammaticità di alcuni eventi che hanno segnato per sempre la vita di Violette.

È questa la storia che ruota attorno a un piccolo cimitero in Borgogna, da cui ha inizio Cambiare l’acqua ai fiori, di Valérie Perrin, scrittrice e fotografa da sempre inserita nel mondo del cinema, essendo la moglie del mitico regista Claude Lelouche. Il personaggio femminile nato dalla fantasia dell’autrice, Violette sposata Toussaint, è tratteggiato con straordinaria perizia psicologica. È una ragazza abbandonata alla nascita, affidata a diverse famiglie, finché facendo la barista in un locale incontra un uomo biondo, bellissimo di cui si innamora perdutamente. Philippe Toussaint è attratto dalla strana ragazza, crede di amarla, gli è infedele, l’abbandona spesso, finché lei resta incinta e nascerà una bambina, Leonine. La storia si dipana con vari intrecci, vicissitudini che seguiamo attraverso i racconti della vita di Violette, di Philippe, del poliziotto Julien Seul, anche lui portatore di una vicenda familiare che si intreccia con quella di Violette. È solo Sasha, il precedente guardiano del cimitero, a conoscere il passato di Violette; per gli altri, di quella sua vecchia vita tutto resta un mistero.

«Siccome l’infelicità non mi era mai piaciuta ho deciso che non sarebbe durata. La sfortuna deve pur finire, prima o poi», lo scrive l’autrice a pagina 11, ed è probabile che a qualcuno possa anche venire da piangere. Come capitava leggendo le frasi che pronunciava Renée, protagonista de L’eleganza del riccio a cui il romanzo della Perrin è stato spesso associato, soprattutto in relazione al carattere delle protagoniste.

Cambiare l’acqua ai fiori è quel genere di libro che non si mette in pausa quando lo si chiude e non finisce con l’ultima pagina. È uno di quei libri che, letto al momento giusto, rimane in testa per anni, assumendo la forza di un metro di paragone per tanti altri libri che cercano di trattare le stesse tematiche anche se, certo, la potenza di questo romanzo dipende molto dall’atteggiamento con cui lo si legge. Perché in un libro come quello di Perrin, che basa la sua narrazione su un unico personaggio, è normale apprezzare la storia in maniera diversa a seconda, anche, del legame empatico che si crea con la protagonista: indimenticabile, permeata di grazia e di generosità malgrado il dolore che ne ha necessariamente cambiato i connotati interni. 

La vita di Violette non è certo stata facile, è stata anzi un percorso irto di difficoltà e contrassegnato da tragedie, eppure nel suo modo di approcciare le cose quel che prevale sempre è l’ottimismo, la capacità di stupirsi guardando un fiore. Come a dire, non so se sia tutto perduto, di certo è bene che io continui a lottare.

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