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colibrì strega
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Arte e Cultura

Il colibrì di Veronesi celebra gli eroi normali e vince il Premio Strega

Corinne Corci
Di Corinne Corci
Nata a Milano, è una giornalista praticante. Dopo essersi laureata in Lettere moderne e aver lavorato come correttrice di bozze per Mondadori, ha frequentato la scuola di giornalismo IULM. Collabora con alcune testate tra cui D la Repubblica, Icon e Rivista Studio.
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Pubblicato il 03.07.2020 alle 9:34

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“Colibrì” è il soprannome di Marco Carrera, protagonista dell’ultimo romanzo di Sandro Veronesi e vincitore del Premio Strega 2020. È intitolato appunto Il colibrì, come quei piccoli uccellini che riescono a stare quasi sospesi a mezz’aria, immobili, grazie a un velocissimo battito d’ali. Il soprannome, datogli da bambino per una carenza dell’ormone della crescita che lo aveva mantenuto piccolo, seppure bello e aggraziato, negli anni finisce per avere un altro significato: «Tu sei un colibrì perché come il colibrì metti tutta la tua energia nel restare fermo. Settanta battiti d’ali al secondo per rimanere dove già sei. Sei formidabile, in questo. Riesci a fermarti nel mondo e nel tempo, riesci fermare il mondo e il tempo intorno a te», gli scrive un giorno la donna che ama. Il protagonista ha vissuto la sua vita così, muovendosi per stare fermo, rifuggendo i cambiamenti. Mentre gli altri andavano avanti, lui praticava un immobilismo tenace, volando anche all’indietro, come il colibrì sa fare.

Marco vive, non abbandona la vita, si sposa, fa figli, ama, cerca di essere felice, ma non è l’idea che la felicità sia nel progresso dell’individuo che guida il protagonista. Al contrario è cercando di tenere fermo il tempo che Marco pensa di poter passare anni sereni sulla terra, fino a quando tutte le certezze, ad una ad una, iniziano a vacillare.
Resistenza. La storia di un uomo mediocre, l’inetto di Una vita di Italo Svevo, ma che ha dovuto sopportare prove difficili, dolori insormontabili. Perché Marco, in verità, e anzi proprio per questo, è un eroe del nostro tempo, capace di sopportare in modo stoico le avversità della vita: la separazione, i problemi della figlia, la malattia dei genitori. Cose per cui non ha altra scelta se non quella di accettarle. E poi il grande amore, Luisa, mai consumato, un’ossessione che lo accompagna da sempre, a cui ha provato a dire addio numerose volte senza riuscirci. Poiché infatti, i cambiamenti nella vita di Marco ci sono, e sono violentissimi, dolori che sfondano il cuore, alcuni accettati e altri troppo grandi, anche per riuscire a definirli. «Mi chiedo: ma il male – hai presente? Ha circuiti preferenziali, il male, o si accanisce a caso?»

Marco è il colibrì che riesce a resistere a qualunque urto, tiro mancino, crudeltà che la vita gli ha imposto. Ed è questo il grande insegnamento di Veronesi, vincitore del Premio Strega 2020 proprio con il suo Colibrì, che c’è sempre un motivo per non abbandonarsi e lasciarsi andare. Nonostante la morte – nel romanzo, ce n’è tantissima – il dolore. Alla fine, arriva sempre la vita – nel romanzo, ce n’è ancora di più – tutta custodita nella speranza, e nel bambino che la figlia di Marco porta in grembo.
Resistere, ma soprattutto sopravvivere alla vita: Il colibrì di Sandro Veronesi è un’opera contro il nostro vittimismo, che non vuole consolare, ma riportarci l’umanità autentica e vera che si imbatte tutti i giorni con il dolore. E in questo, è un’ode alla vita intera, e a chi ne fa parte.

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