I cinquant’anni dell’Hip Hop
L’11 agosto 1973 si celebrano i cinquant’anni dalla nascita dell’Hip Hop. Siamo andati nelle strade di Harlem e del Bronx insieme al musicista hip hop RayZa, per scoprire le origini di un genere musicale che ha livellato diversità e unito intere comunità nel mondo.
11 agosto 1973. È la data della nascita dell’hip hop, non solo un genere musicale, ma un vero e proprio movimento culturale che ha segnato gli anni ’80 e ’90 e che oggi rappresenta un business da miliardi di dollari diffuso in ogni angolo del pianeta. Non esiste solo la data, c’è anche un indirizzo preciso, il 1520 Sedgwick Avenue nel Bronx (oggi ribattezzato Hip Hop Blvd). Erano le nove di sera dell’11 agosto 1973 quando Clive Campbell, in arte DJ Kool Herc, insieme alla sorella Cindy, affittò il locale ricreativo del condominio. Gli ingredienti della festa erano due giradischi, un mixer e un MC, master in ceremony, colui che rappa sopra la musica. Il primo MC, anche lui partecipante alla festa, fu Theodore Puccio. DJ Herc iniziò per la prima volta a perfezionare la sua tecnica da DJ “Merry-Go-Round” ovvero le “pause” musicali sulle canzoni di James Brown.
Gli ingredienti dell’Hip Hop
Mentre la musica suonava, stava nascendo il rap e la danza ad essa associata, la breakdance. Oltre alla danza, al rap e al turntablism – l’arte di mixare i dischi – c’è un’altra disciplina che è uno dei pilastri della cultura hip hop, la graffiti art o writing. Disegnare sui muri era un modo per lasciare un segno per chi si sentiva escluso dalla società. Era come gridare al mondo, “ehi, sono qua, esisto pure io”. Erano gli anni ’70, un periodo socialmente complesso negli Stati Uniti ed in modo particolare nel Bronx, nessuno voleva vivere in quella zona di New York. Tensioni sociali, emarginazione, uso diffuso di droghe, criminalità, gangs, sparatorie, erano all’ordine del giorno. “Ragazzi cresciuti senza genitori, hanno avuto la cultura hip hop come guida ecco perché quando sento parlare di Hip Hop come genere musicale, lo trovo riduttivo” racconta RayZa, un noto cantante hip hop che ha collaborato con numerosi artisti, tra cui gli italiani Clementino e DJ Gruff. “Vengo spesso a suonare in Italia insieme a Dope One & Boiled Brains. Anche l’Italia ha una grande cultura hip hop e per questo collaboro con artisti italiani. RayZA ha da poco pubblicato un album intitolato proprio 11th August, un tributo alla cultura Hip Hop, insieme al rapper italiano DJ Gruff. “È stata una bellissima esperienza” racconta RayZa mentre percorriamo le strade del Bronx dove l’hip hop ha avuto inizio.
Hip Hop e le sue storie
L’hip hop è stato fondamentale per gli artisti cresciuti in queste zone di New York. Afrika Bambaataa è uno di loro. Nato in un quartiere del Bronx, che negli anni ’70 era gestito dalle gang criminali, dopo un viaggio in Sudafrica, entrò in contatto con il movimento antiapartheid. Scelse il suo nome d’arte proprio ispirato da un capo Zulu. Appena rientrato nel Bronx, iniziò ad usare l’hip hop per interrompere le violenze delle gang. Attraverso la musica, la breakdance, i writers, creò una comunità di ragazzi di colore che contribuì a portare la pace tra i gruppi criminali. Ancora oggi Afrika Bambaataa è un simbolo di riferimento per la comunità del Bronx. Big L è un altro rapper di Harlem che fu salvato dall’hip hop. Da adolescente i suoi modelli di riferimento diventano gruppi come Cold Crush Brothers o Big Daddy Kane. Trascorrerà gran parte della sua adolescenza nel parco vicino casa tra la 104th e la 139th Street, a comporre rime e scrivere testi di canzoni. Purtroppo, proprio in quelle strade troverà la morte il 25 febbraio del 1999 coinvolto inconsapevolmente in una sparatoria. Raggiungiamo il luogo dell’omicidio, sulla 139th e 45 West insieme a RayZa che mi consiglia di camminare velocemente e non soffermarmi troppo, nella zona non sono gradite visite di non residenti. In quel punto si trova un graffito realizzato in memoria di Big L, diventato luogo di pellegrinaggio internazionale per gli appassionati di Hip Hop.
Hip Hop ed empowerment
In un certo senso possiamo affermare che fu l’Hip Hop a salvare gran parte delle giovani generazioni del Bronx e Harlem negli anni Ottanta perché trovarono un modo per canalizzare la rabbia, sfogare le frustrazioni ma anche esprimere la propria personalità attraverso l’arte. A New York convivevano tante comunità come quella ispanica e africana e l’hip hop livellava le differenze. Era la musica ad unire. Bastava un marciapiede, un microfono, un MC, la breakdance. Oggi la città newyorkese sta ricevendo moltissimi immigrati dal Sudamerica. È un problema sociale non solo in termini di alloggi ma anche di integrazione. “La cultura hip hop potrebbe avere lo stesso effetto che ebbe nel 1973 per riunire le persone provenienti da diversi background culturali” afferma RayZA.
È forse questo il potere più grande dell’hip hop: la capacità di porre in relazione – oggi più che mai – persone provenienti da contesti diversi, appartenenti a generazioni diverse spesso con diversa estrazione sociale. L’hip hop come ogni cultura e forma d’arte ha i suoi topos, spesso fraintesi, i suoi miti, le sue storie, i suoi valori. Attraverso le rime, gli scratch, le acrobazie e le rappresentazioni colorate sui muri, l’hip hop da ormai cinquant’anni racconta di realizzazione personale, di affrancamento e riscatto; trasmette valori come l’amicizia, la famiglia e l’orgoglio per le proprie origini; crea nuovi stili, nuovi ritmi, nuovi linguaggi che ormai vanno ben oltre la strada su cui sono nati, trovando spazio su grandi palchi e gallerie d’arte importanti. Di questo anche in Italia, lontana dalle strade del Bronx, fioccano esempi di assoluto rilievo come la writer italiana Alice Pasquini che ha visto le sue opere esposte alla Saatchy Gallery di Londra ed al Museo di Arte contemporanea di Roma, il siciliano TV Boy o artisti del calibro di Marracash che – tra rime intimiste e richiami alla cultura letteraria, cinematografica e popolare italiana – è riuscito ad aggiudicarsi nel 2022 il “Premio Tenco”, la più importante rassegna italiana della Canzone d’Autore.A distanza di cinquant’anni, quindi, alcuni degli elementi fondanti dell’hip hop sono indubbiamente cambiati, ad esempio all’inizio era necessario il vinile o il mixer, ora è possibile lavorare in streaming o usare software dedicati. “È vero, sono cambiati gli strumenti, anche gli stili musicali cambiano, si evolvono e crescono, ma quando si tratta di hip-hop, se guardi bene, alla radice di tutto trovi lo stesso spirito. La cultura è viva e vegeta. L’hip-hop sta crescendo e continua ad espandersi” conclude RayZa.