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Empowerment

Come diventare un bravo manager (e far lavorare meglio i propri collaboratori) con la teoria dei feedback

Federico Capeci
Di Federico Capeci
Autore del libro #Generazione 2.0 (Franco Angeli, 2014), Federico Capeci è un esperto di comunicazione e ricerche di mercato digitali. È Chief Digital Officer e Ceo di TNS, azienda leader a livello mondiale nelle ricerche di mercato. Federico ha una lunga esperienza nelle ricerche in area Brand & Communication, iniziata in Istituti leader (Gfk, Millward Brown) e completata con il ruolo di Research Manager in Coca-Cola Italia. Successivamente, come CEO, ha effettuato il rilancio di OTO Research (Fullsix Group) guidando il processo di internazionalizzazione in Francia e Spagna e nel 2008 ha fondato Duepuntozero Research (DOXA Group) con risultati sempre [...]
Scopri di più
Pubblicato il 24.08.2015 alle 8:16

I giovani di oggi, al lavoro, sono proprio strani!
Quando ero ragazzo io, la cosa che più mi attraeva era l’idea di poter entrare in una grande azienda, la sua storicità, avere uno stipendio alto che potesse sancire i miei passi di carriera. Oggi i Millennials sono diversi.
Ciò che conta è la meritocrazia: la certezza di esser ripagati, concretamente o in modo simbolico, per la propria crescita e per il proprio impatto sull’organizzazione. Lo riportavo qualche mese fa su Linkiesta e ne sono ancora più convinto ora.

Si tratta di un cambiamento epocale che chi gestisce personale e ha a cuore il benessere organizzativo di un’azienda deve tener ben presente.
Richiedere meritocrazia prima di tutto significa poter fare affidamento su un sistema virtuoso tra dipendente e azienda che sappia mettere in gioco e stimolare il meglio di ciascuno: l’azienda fornisce al dipendente gli strumenti per realizzare i propri talenti, il dipendente dà in cambio all’azienda il frutto dei propri talenti. E così via, in modo circolare.
Questo sistema invece si interrompe quando l’azienda non fornisce stimoli e strumenti, o quando il dipendente non dà più i frutti del proprio lavoro.
Come gestire, quindi, questo processo circolare? Come poter alimentare un processo di creazione di valore per entrambe le parti così fatto?

I giovani ci insegnano la cultura del feedback, azione che costa poco ma che è in grado di generare molta produttività

Sono molte le cose che ci insegnano i Millennials, una di queste è sicuramente la cultura del feedback.
I Millennials sono cresciuti con il meccanismo del feedback: postando pensieri, immagini e video nei social network e ricevendo like, risposte, commenti. Sono cresciuti facendo una ricerca su Google e ricevendo subito una risposta. Per i Millennials di oggi, quindi, il feedback è un’attitudine di base, non un comportamento pianificato.

Immaginate, quindi, quando si trovano di fronte un capo che dà una restituzione del lavoro svolto alla fine dell’anno. Profonda, strutturata, formale… ma una volta e dopo un anno! Questo è quello che sta cambiando profondamente. I Millennials sbattono in faccia a ciascuno di noi l’importanza del feedback continuo, secondo una logica di costante interazione che conduce l’altro a migliorarsi facendo.
È un concetto fondamentale in diverse relazioni, anche in quelle personali, ma in azienda diventa davvero fondamentale, pena il rischio di perdere il loro entusiasmo e quindi i frutti del loro talento.

I Millennials e la loro ossessione per i feedback, la stessa che li fa guardare ogni minuto la progressione dei like al loro post su Facebook, sono un grande esempio per le nostre aziende.

Un buon feedback deve riguardare un’attività specifica, sia positiva che negativa, non deve essere generico

Come si dà un feedback?
Spesso siamo portati a dare il riscontro di un’attività solo quando va male: questo è sbagliato, occorre dare un feedback sempre, in ogni momento in cui un’azione ha una valenza degna di riscontro, che sia con esito positivo o negativo. Spesso si danno feedback molto “larghi”, che investono diverse sfere della persona che ha commesso un’azione: anche questo è sbagliato, meglio descrivere l’accaduto in modo molto concreto e circoscrivere il feedback all’azione, sospendendo giudizi e senza scomodare alte sfere di psicologia. Spesso, poi, il feedback viene vissuto dal capo come un momento che si chiude per poi non essere più riaperto: altro errore. Molto meglio coinvolgere il dipendente nella soluzione e dare dei follow up affinché al feedback corrispondano azioni o almeno intenti, misurabili anch’essi dopo un po’ di tempo.

Una piccola ma efficace modalità per dare un feedback è la seguente:

  • Partite dall’osservazione e dai fatti: “Ho notato che…”
  • Poi parlate di ciò che ha generato quel fatto: “Questa cosa mi ha fatto pensare che…”, “Ha avuto questo impatto”
  • Rimanete un attimo in silenzio perché l’altro possa riflettere
  • Date il suggerimento: “Io penso che avresti potuto…”

È una tecnica forse banale, ma vi consiglio di provarla, con un vostro amico o con un collega: vi accorgerete di quanto semplice sia dare un feedback, svuotato di ogni componente personalistica, e di quanto grato vi sarà l’altro.

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